Articoli-Yamaguma Dojo Pavullo

Yamaguma Dojo Pavullo

Articoli

- I pensieri del fondatore O'Sensei Morihei Ueshiba e la sua storia
- La nascita delle Arti Marziali
- Origine dell'Aikido
- Il Ki, l'energia interna
- Il Kokyu, la pratica del respiro
- Storia del Bokken
- Come piegare l'hakama
- Dizionario Giapponese Italiano
- Letture consigliate per approfondire
- Intervista a Morihiro Saito Sensei
- Intervista a O'Sensei Morihei Ueshiba
- Lettera ufficiale di Hitohiro Saito Sensei
- Il Misogi, la purificazione rituale
 
 
 

I pensieri del fondatore Osensei Ueshiba Morihei.

"Oggigiorno la pratica sportiva è largamente diffusa. Essa è eccellente per l'esercizio fisico. Anche il guerriero allena il suo fisico ma fa di più. Egli utilizza il suo corpo come un mezzo di sviluppo spirituale, di appagamento del suo spirito e della scoperta delle virtù di bontà e bellezza, dimensioni queste che fanno difetto alla pratica sportiva." "Competere nelle tecniche, la vittoria o la sconfitta non sono il vero budo. Il vero budo non conosce sconfitta; non essere mai sconfitti significa non combattere mai. Vincere significa annientare la volontà di discordia in se stessi. Significa compiere la propria missione di dono." "Voi sbagliate se pensate che budo significhi avere avversari e nemici ed essere forti e farli cadere. Non ci sono né avversari né nemici per il vero budo."

Morihei_Ueshiba
 

"Il vero budo è un'opera d'amore. E' dar vita a tutti gli esseri e non ucciderli o combatterli."

"Non guardate la sua spada o sarete uccisi con essa. Non guardatelo, o il vostro spirito sarà distrutto. Il vero budo è coltivare la forza di attrazione con il quale condurre verso di voi il vostro avversario."
Storia di O' Sensei
A Tanabe, il 14 dicembre del 1883, nacque Ueshiba Morihei. Fin dall'infanzia inizió lo studio dei classici cinesi sotto la guida di un prete della setta shingon, Fujimoto Mitsujo , mentre apprendeva direttamente dalla viva voce della madre le leggende del monte Kumano. Pur discendente da una famiglia di gente vigorosa, la sua costituzione era fragile e tale rimase nel corso di tutta la sua vita, ma una forza di volontà indomabile e un'applicazione costante gli permisero di superare ogni ostacolo.
Per contrastare la sua fragilità e le sue tendenze mistiche, il padre lo inizió all'arte del sumo e lo incoraggió a praticare altre arti marziali. Dotato di prodigiosa memoria e di grande facilità di calcolo, studió da contabile e si trasferí a Tokyo nel 1902 dove approfondí lo studio delle arti marziali, probabilmente impressionato dall'aggressione che suo padre dovette subire ad opera di un gruppo di briganti. Praticó il jujutsu delle scuola Tenshin Shin'yo e Yagyu-ryu e probabilmente la scuola di spada Shingake-ryu. Ma una grave malattia lo obbligó a tornare a Tanabe, dove si sposó con Hatsu Itokawa. Nel 1903 era stato riformato dalla leva militare a causa della statura insufficiente, per un solo centimetro (misurava 1,56).
Deciso a non rassegnarsi, si fece sospendere a degli alberi con grossi pesi alle caviglie, in modo da allungare la colonna vertebrale. Venne accettato ad una seconda visita e partecipó alla guerra con la Russia, da cui tornó con il grado di sergente ed una fama di grande abilità nel maneggio della baionetta ( jukendo ). Si era guadagnato anche il nomignolo di tetsujin , uomo di ferro, e pesava oltre 80 chili; aveva seguito mentre era distaccato a Nakay gli insegnamenti di Yagyu Ryu del maestro Masakatsu Nakai, che continuó a frequentare anche negli anni seguenti (aveva ricevuto nel 1908 il diploma di insegnante ).
Dopo il suo ritorno a casa il granaio della casa paterna venne trasformato in dojo, e fu lí che Ueshiba seguí gli insegnamenti del maestro di judo Kiyoichi Takagi e quelli del politico Kumakusu Minakata, del quale condivise l'opposizione al degrado ecologico e morale della regione in nome del progresso.
Rendendosi conto che la situazione della regione era in ogni caso degradata, trattandosi di una zona montagnosa materialmente povera che viveva dei soli proventi della pesca artigianale, e non autorizzava grandi prospettive, aderí all'appello del governo giapponese per colonizzare l'isola di Hokkaido.
Si trasferí nel 1912 nel villaggio di Shirataki in Hokkaido profondendo tutte le sue energie fisiche e morali nello sviluppo della colonia, soprattutto dopo un incendio che nel 1916 aveva distrutto quasi completamente il villaggio; si calcola che abbia abbattuto da solo in un anno 500 enormi alberi. Organizzava tornei di sumo e jukendo per tenere alto il morale, praticava esercizi di purificazione nelle acque gelide dei torrenti, e trovava anche il tempo di lottare contro i briganti che infestavano la zona. Fu ad Hokkaido che fece conoscenza col maestro Takeda Sokaku, della scuola Daito-Ryu, anche lui stabilitosi sull'isola.
Fu indubbiamente l'esperienza che lo segnó maggiormante dal punto di vista tecnico. Seguí intensamente gli insegnamenti di Takeda, lo accompagnó spesso nei suoi viaggi e lo ospitó nella sua dimora.
Ma sul finire del 1919 una grave malattia del padre costrinse Ueshiba a lasciare l'Hokkaido, in cui non avrebbe piú rimesso piede. Lasciando la sua casa a Takeda Sokaku, si mise in viaggio. Si fermó per strada a Ayabe, per fare la conoscenza del mistico Onisaburo Deguchi, che destó in lui un'impressione incancellabile.
Durante una sessione di preghiera, l'ombra di suo padre apparve a Ueshiba, che ne rimase scosso. Deguchi si diresse verso di lui chiedendogli cosa avesse. Ueshiba rispose che era preoccupato per suo padre, e Deguchi gli rispose semplicemente "Tuo padre sta bene. Lascialo partire.".
Il padre morí prima che Ueshiba facesse ritorno a Tanabe, lasciandogli un messaggio postumo: "Sii libero, vivi come vuoi realmente". Profondamente prostrato, Ueshiba partí con la sua spada in direzione delle montagne, dove per giorni interi si aggiró come una furia, combattendo contro le ombre.
Al suo ritorno decise di abbandonare la casa paterna per trasferirsi nella comunità Omoto-kyo di Ayabe, dove aprí un dojo divenendo definitivamente, all'età di 36 anni, un maestro di arti marziali. Durante il primo terribile anno Ueshiba perse per malattia i suoi due figli maschi e Deguchi venne arrestato dal governo per attività sovversiva, per essere rilasciato dopo quattro mesi.
Nel 1921 la nascita di un nuovo figlio, Kisshomaru Ueshiba, diede il segnale di una svolta verso tempi migliori. Ueshiba condivise da allora per diversi anni gli ideali e le avventure di Deguchi, compreso l'idealistico quanto irrealistico tentativo di fondare in Manciuria una nuova comunità universale. Successivamente Il suo cammino marziale inizió a distaccarsi progressivamente da quello del maestro Takeda.
Risale al 1925 l'episodio che gli fece prendre coscienza di questa sua intima necessità. La sua fama aveva intanto cominciato a diffondersi; gli venne proposto di trasferirisi a Tokyo per insegnare, e vi si trasferí nel 1927.
La sua nuova arte venne conosciuta col nome di Ueshiba Ryu. A partire dagli anni 40 venne ufficialmente adottato il nome di aikido, ma gli eventi bellici ne frenarono l'espansione. Ueshiba Morihei si trasferí ad Iwama, dove si dedicó alla ricerca personale ed al lavoro nei campi, attorniato da un pugno di allievi.
Dopo un difficile periodo di stasi postbellica, l'attività a Tokyo riprese e vi fece gradualmente ritorno. Ueshiba Morihei continuó incessamente fino alla piú tarda età il suo percorso personale e la sua opera di insegnamento. Si è spento a Tokyo nell'aprile del 1969 all'età di 86 anni.
 
 
La nascita della Arti Marziali
 

Bisogna sapere che la guerra è presente in tutte le cose
che la giustizia è conflitto
e che tutto accade necessariamente come frutto di una lotta
.
Eraclito
Ci sono molte arti marziali
Sebbene usino diverse forme
per la gran parte non vanno oltre
il forte che opprime il debole
il lento che cede al veloce

Wang Tsung Yueh

 

La storia delle arti da combattimento ha sempre avuto due facce: quella militare e quella sportiva, retaggio delle due attività da cui queste discipline derivano. Le arti marziali nascono infatti da due attività fondamentali sin dalle prime orde umane: la caccia e la difesa del territorio. La prima ha a che fare con il rapporto dell’uomo con l’ambiente, mentre la seconda riguarda i rapporti tra gli uomini. In entrambi i casi, privo di armi naturali obiettivamente pericolose, l’uomo dovette ricorrere allo sviluppo tecnologico per la sopravvivenza. Le prime selci malamente scheggiate segnano l’inizio della storia tecnologica della specie umana, che è coincisa con la storia delle sue attività belliche. Nell’epoca che ha preceduto la nascita dell’allevamento e dell’agricoltura, cioè la massima parte della vita umana, l’episodio che ha probabilmente più contribuito allo sviluppo delle tecniche marziali è stato lo scontro tra l’homo sapiens sapiens proveniente dall’Africa e l’homo sapiens neandertalensis, che sopravviveva in Europa. Quest’ultimo, assai più massiccio e muscoloso, aveva senz’altro la meglio nello scontro ravvicinato con il suo cugino più recente. La sopravvivenza della specie umana dovette dipendere anche in quel caso dalla produzione di nuove tecniche (nuove armi, nuove tattiche) volte a supplire alle carenze fisiche del corpo umano. Con lo svilupparsi di tribù più numerose, e con l’inizio di una divisione tecnica del lavoro, le attività belliche cominciarono a diventare un mestiere particolare. Tuttavia, fino alla nascita dello Stato, ovvero sino a poche migliaia di anni fa, la guerra rimase un’attività collettiva, condotta da tutti al pari di ogni altra attività della tribù. Nessuno veniva pagato per combattere (non esistevano soldati, ovvero “uomini assoldati”), ma quando occorreva, l’intera popolazione entrava in guerra. Tuttavia, gli scontri tra le tribù o i regolamenti di conti all’interno dei clan gentilizi costituivano un peso notevole per una popolazione numericamente esigua e con una mortalità elevata. Per questo, si svilupparono metodi per risolvere le controversie senza esiti mortali. Le arti marziali, le danze ritualizzate, vennero create a questo scopo. Si trattava di combattimenti (per lo più a mani nude) piuttosto violenti, ma comunque “controllati”, proprio come gli scontri tra gli adulti di molte altre specie di mammiferi. Attorno a questi combattimenti ritualizzati si raccoglieva tutta la tribù. Si trattò della prima forma di disciplina marziale sportiva, dove la lotta non era mortale e il divertimento assicurato. Possiamo immaginare che ogni tribù sviluppasse delle tecniche leggermente differenti, ma la forza fisica, il coraggio e l’esperienza erano i requisiti fondamentali in questo genere di agoni, non certo qualche mossa segreta. Il salto di qualità delle arti marziali venne con la nascita dello Stato. Per la prima volta nella storia umana, si sviluppò un apparato militare permanente e separato dalla popolazione. Il diritto di proprietà individuale, che privava una quota crescente della popolazione dei mezzi di sussistenza (ai tempi, essenzialmente la terra) spingendola verso la schiavitù, doveva essere garantito con le armi. Occorreva difendere la proprietà dai nemici esterni (difesa del territorio statale) e interni (gli oppressi). Per questo la nascita dello Stato comportava l’esclusivo diritto alla violenza da parte dell’esercito, a difesa dei rapporti di proprietà dominanti[1]. Questo spiega perché in ogni epoca lo Stato ha fatto di tutto per convincere o costringere la popolazione a non armarsi, anche quando questo ha comportato la distruzione stessa dello Stato[2]. Nell’epoca classica, le tecniche di combattimento, sia per terra che per nave, non richiedevano grande perizia individuale, quanto disciplina. In particolare la formazione oplitica esigeva il massimo dell’uniformità, e per certi versi passività, del singolo fante a favore della compattezza della massa, la quale traeva la sua forza dall’urto frontale di una falange coesa. Anche reparti più specializzati, come la cavalleria pesante dei Parti, i frombolieri persiani ecc., non necessitavano di addestramento particolare nel combattimento ravvicinato. La nascita delle classi e dello Stato, relegando la donna alla produzione e conservazione di bambini, comportò anche l’eliminazione dello sport femminile e dunque della pratica delle arti marziali da parte delle donne. Nelle società gentilizie le donne lottavano come gli uomini. Lo si vede nei racconti degli occidentali sugli abitanti della Polinesia, delle Hawai e degli indiani americani. Gli esploratori erano sorpresi dalla ferocia dei combattimenti femminili, in cui era permessa ogni cosa. Ma erano altrettanto sorpresi dal fatto che, finito il duello, le ragazze si abbracciassero e tornassero le amiche di sempre. Questo era il modello di tutti i combattimenti tribali. Essendo la società tribale priva di discriminazione sessuale, le dispute riguardavano parimenti uomini e donne. Quando il potere e la proprietà divennero esclusive dei maschi ricchi, alle donne fu concesso tutto al più di assistere ai combattimenti maschili. Se per gli eserciti contavano molto di più la tecnologia delle armi, la perizia tattica dei comandanti e la motivazione degli uomini (e questo, peraltro, vale prima facie tuttora), l’arte del combattimento si andò affinando in ambito sportivo. Il pugilato, la lotta libera (pancrazio) erano attività popolari nella Grecia classica e fecero parte delle Olimpiadi sin dall’inizio. Dai racconti degli storici greci possiamo dedurre che con il pancrazio, dove era ammesso ogni tipo di colpo, i Greci avessero raggiunto un livello tecnico eccellente. Probabilmente, i lottatori delle discipline più estreme di oggi (dal “vale tudo” al sambo) avrebbero poco da insegnare ai lottatori della Grecia classica, in termini di tecnica, astuzia, ferocia, e probabilmente persino nelle tecniche di allenamento[3]. La trasposizione romana del pancrazio alterò lo spirito originale della disciplina, riducendola a pura brutalità. Vennero introdotti i cesti (una sorta di guanti fatti di lacci di cuoio con borchie in metallo) che procuravano ferite gravi, trasformando l’arte della lotta in uno spettacolo gladiatorio. D’altronde Roma divenne famosa proprio per questi spettacoli, in cui centinaia di schiavi, spesso prigionieri di guerra o rivoltosi, venivano fatti combattere l’uno contro l’altro o contro animali feroci. Lo sport del combattimento venne coltivato durante il medioevo soprattutto dai cavalieri, che quando non combattevano per lavoro combattevano per diletto, nelle “giostre”. In quell’epoca, lo sviluppo di tecniche sofisticate nel combattimento corpo a corpo divenne una questione di vita o di morte, anche perché la tecnologia medievale non consentiva una superiorità schiacciante da parte della violenza legale (lo Stato) su quella illegale (le rivolte contadine). Analogamente ai cavalieri occidentali, caste di combattenti si svilupparono in ogni regione in cui prevalsero rapporti di produzione analoghi (Giappone, Cina, sud est asiatico, ecc.), con un’ideologia simile (il codice d’onore dei cavalieri occidentali e dei samurai è praticamente lo stesso). La differenza venne dal ritmo di sviluppo impresso dal capitalismo all’occidente. La crescita delle forze produttive portò allo sviluppo di nuove tecnologie (soprattutto la polvere da sparo e poi armi da fuoco sempre più affidabili) che ridussero via via il ruolo della tecnica individuale. Proprio come gli artigiani vennero distrutti dalle fabbriche della rivoluzione industriale[4], i cavalieri vennero schiacciati dall’artiglieria. Una combinazione di eventi storici tenne l’Asia lontano da questi sviluppi tecnologici[5]. Ancora nell’Ottocento, quando in Europa la guerra si basava su moltitudini di uomini armati di fucili e cannoni, e, per mare, sulle cannoniere, in Giappone i samurai reprimevano i contadini a colpi di katana. Quando gli eserciti e le navi europee arrivarono a contatto con queste civiltà, ne trassero sempre le stesse impressioni: si trattava di uomini di coraggio e perizia immensi[6] che però nulla potevano di fronte alla superiore tecnica e tattica degli invasori. Seppure con qualche episodio eroico di resistenza, i popoli di tutto il mondo, dagli indios latinoamericani ai filippini, dagli africani alle tribù di indiani del Nordamerica, per finire con gli imperi cinese e indiano, vennero piegati alle esigenze mercantili dell’imperialismo europeo[7]. Con l’avvento della produzione in serie delle armi da fuoco, il combattimento ravvicinato cessò di avere un interesse per gli eserciti. Se si escludono alcuni corpi speciali, commandos, agenti segreti ecc., ai quali è necessario avere cognizioni di combattimento corpo a corpo, i soldati degli ultimi due secoli possono tranquillamente ignorare qualunque arte marziale. Diversa è invece la situazione delle arti marziali sportive. Le giostre medievali non ci sono più, il Colosseo è solo un’attrazione per turisti, ma la lotta per divertimento non ha cessato di interessare l’uomo, anche durante la rivoluzione industriale. Lotta e pugilato hanno da sempre costituito i passatempi preferiti di contadini e operai di tutto il mondo. Già nel duecento, in paesi europei quali la Svizzera, i contadini e i montanari risolvevano le loro dispute con la lotta corpo a corpo. Nel XVI secolo, nelle Hawai, la classe operaia praticava tre sport tradizionali: lotta libera, pugilato e bastone singolo. Nel XVIII secolo, mentre nel Siam la muay thai veniva utilizzata nei combattimenti tra villaggi, in Russia gli operai si trovavano dopo la funzione domenicale per incontri di lotta che ovviamente non avvenivano secondo le regole moderne ma erano piuttosto scontri dove tutto era possibile e finivano con lesioni permamenti o anche decessi. Una situazione analoga la si ritrova in tutta Europa, ma non ancora negli Stati Uniti. Infatti, nell’America del nord fino al XIX secolo questi incontri non erano diffusi era la mancanza di forza-lavoro, che garantiva salari elevati e dunque una minore necessità di raggranellare denaro picchiandosi l’un l’altro. La storia ci fornisce dunque tre fonti e tre parti integranti del combattimento corpo a corpo. Ci sono quelle che vengono definite arti marziali, gli sport da combattimento e le tecniche di combattimento militare. a) arti marziali Le arti marziali che conosciamo oggi hanno un’origine varia. Alcune sono attività sportive di origine militare (il judo e il ju-jitsu, il sambo), altre derivano da tecniche elaborate nel corso di una lotta contro un’occupazione militare (il karate e il kobudo di Okinawa, le arti marziali filippine, il silat indonesiano); altre, venivano coltivate in seno a clan di origine gentilizia e sono giunte a noi per vicende storiche di varia natura (le arti marziali cinesi, il kali filippino, alcune forme di lotta del Caucaso); altre, infine, sono una derivazione dalle prime categorie (le arti marziali coreane e vietnamite). Occorre tenere conto che sebbene molte arti marziali pretendano di essere la tecnica “originale”, tramandata immutata da generazioni sin dall’antichità, si tratta di trovate commerciali, senza basi scientifiche. Nella realtà, le culture e le conoscenze dei popoli si sono mischiate mille volte nella storia. Alcuni influssi, più recenti, sono facilmente documentabili (come quelli delle arti marziali cinesi verso il Giappone, la Corea e tutto il sud-est asiatico, o delle tecniche di scherma italiane e spagnole verso le tecniche filippine), ma le arti marziali sono sempre state eclettiche, condizionandosi a vicenda in ogni modo possibile. Le arti marziali moderne, siano esse “storiche” e “filosofiche” come il sumo, o “moderne” e “commerciali” come la kickboxing e i combattimenti ultimate fighting, sono pervenute a noi tramite una serie interminabile di passaggi. Per questo, la ricostruzione storica che le diverse discipline fanno dello sviluppo delle arti marziali ha più a che vedere con il marketing che con la storia. Si pensi alla pretesa dei maestri di kung fu che i loro stili deriverebbero dalle tecniche praticate nel tempio di Shaolin, fondato circa 1500 anni fa, a loro volta tramandate dall’insegnamento del filosofo indiano Bodidharma, creatore del buddismo Chan (o Zen, in giapponese)[8]. Allo stesso modo, i maestri di Wing Tsun, uno stile di Hong Kong, pretenderebbero che il fondatore di questa scuola, una donna di nome, appunto, “Wing Tsun”, avrebbe appreso la sua arte da un monaco di Shaolin[9]. Ma casi simili li troviamo per arti marziali coreane (come il Kuk Sool Woon), vietnamite, giapponesi ecc. Ovviamente, la storia del tempio di Shaolin culla delle arti marziali cinesi non è più realistica di quella che vuole Roma fondata da gemelli allattati da una lupa o delle dodici fatiche di Ercole. Spesso, spiegazioni di fantasia coprono più prosaiche e inconfessabili realtà[10]. Come le arti marziali moderne non hanno che un legame remoto con le discipline del passato, così lo hanno con le rispettive religioni. Qualunque pretesa di un legame organico e necessario tra un’arte marziale e una religione è frutto di elaborazioni successive[11]. La realtà è che all’interno di una determinata popolazione, le tecniche di combattimento e le convinzioni religiose si sono sviluppate parallelamente. Solo in seguito, un popolo, avendo sviluppato la sua religione e la sua arte, ha legato le due cose. Ma, come detto, ogni arte marziale ha subito influssi di ogni tipo. Pretendere di vedere un legame tra boxe tailandese e buddismo, o alcuni stili di kung fu e taoismo o, chissà, la savate e il cattolicesimo, non ha alcun valore storico. La migliore dimostrazione di questo lo ha dato il ventesimo secolo, con la diffusione mondiale di queste discipline senza nessun “trascinamento” religioso. Dopo tutto, quanti olandesi o francesi dediti alla muay thai si sono convertiti al buddismo? Quanti americani che praticano judo sono diventati scintoisti, e quanti arabi che salgono sul ring per boxare sono divenuti cristiani? Diverso è il discorso che riguarda la connessione tra l’ideologia nazionalista e le arti marziali. Ogni regime nazionalista utilizza lo sport per esaltare la “patria” (si pensi all’uso che fece il fascismo di Primo Carnera). L’uso massimo delle arti marziali come mito patriottico venne fatto dal nazionalismo Meiji in Giappone. Dovendo reinventare un paese che stava passando dal feudalesimo al capitalismo in pochi anni, la classe dominante giapponese creò una tradizione marziale fatta di disciplina, onore, obbedienza senza nessun aggancio storico effettivo. Vennero creati ex novo o distorti episodi dell’epoca feudale per forgiare un’ideologia aggressiva che giustificasse l’espansionismo militare e la repressione sociale. Mentre spacciava per Bushido, il codice d’onore dei samurai dell’epoca Tokugawa, quello che nei fatti era una scopiazzatura di militarismo prussiano, più concretamente lo Stato addestrava e armava bande paramilitari per compiere azioni contro sindacalisti e attivisti di sinistra. Il samurai che sta dietro alle moderne arti marziali non è il guerriero indomabile dell’epoca feudale, ma un bravo manzoniano, un sicario della yakuza al servizio della grande industria. Purtroppo, pur di avere l’appoggio dello Stato, anche importanti maestri di arti marziali hanno ceduto a queste pressioni. Così, una setta di fanatici nazionalisti controllata dai servizi segreti, la società dell’oceano nero, che compì a fine ottocento diversi attentati eclatanti (uccise tra l’altro la regina coreana nel 1895) vide tra i suoi “collaboratori”, So Doshin, l’inventore dello stile Shorinji kenpo, Ueshiba Morihei, l’inventore dell’aikido, e Yamaguchi Gogen, l’esponente più famoso dello stile Goju Kai di karate. Questo non implica affatto che la pratica delle arti marziali sia direttamente connessa ad una ideologia reazionaria. Non è vero per quello che riguarda gli aspetti della disciplina (molti altri sport hanno una disciplina almeno altrettanto dura), né per la violenza, che è anzi storicamente il simbolo del divertimento delle classi oppresse (dopo tutto, quanta violenza c’è nel golf o nella vela?). Né, infine, possiamo trovare legami storici univoci tra arti marziali e movimenti politici. Se in Giappone il legame arti marziali-imperialismo era molto stretto, in Cina, nelle Filippine, in Indonesia e altrove, la connessione tra movimenti di liberazione nazionale o organizzazioni sindacali e arti marziali fu altrettanto forte. Ad esempio, a fine Ottocento, il movimento per l’indipendenza delle Filippine, guidato da José Rizal e altri, aveva un’organizzazione, chiamata Katipunan (la fratellanza) con 200.000 aderenti che si allenavano nell’Eskrima. Lo stesso fenomeno lo vediamo in Cina, con venature escatologiche, nella rivolta dei Tai Pings (la setta della “grande purezza”), guidata nel 1850 da una sorta di santone cristiano, Hung Hsiu Chuan che tenne impegnate le truppe imperiali per quasi vent’anni. Una situazione simile si ebbe con la rivolta dei “boxers” del 1900, quando masse di praticanti di discipline marziali vennero illuse dai loro capi che la meditazione li avrebbe salvati dalle pallottole. Un altro esempio lo troviamo in Indonesia, dove nel 1947 venne istituita la associazione del Pentjat Silat a Jakarta i cui dirigenti erano impegnati nella lotta di liberazione contro l’imperialismo olandese. b) sport da combattimento Quello più famoso rimane il pugilato inglese, le cui regole hanno condizionato la traiettoria seguita dalle altri discipline. Ad esempio, l’introduzione delle categorie di peso, che venne mutuata dagli handicap delle corse dei cavalli per rendere più realistiche le scommesse, venne poi estesa a ogni tipo di lotta. Peraltro, il marchese di Queensberry non fu il primo ad “ammorbidire” le regole. Per esempio, nel 1877 a Bruxelles, Joseph Charlemont introdusse nuove regole nella savate. Esse proibivano di tenere l’avversario mentre lo si colpiva, i colpi di gomito, di ginocchio e di testa, i colpi all’inguine ecc. L’origine storica degli sport da combattimento è più omogenea di quella delle arti marziali. Si tratta di discipline diffuse da secoli tra le classi povere, che sono state rese “civili”. Come il fioretto venne inventato per evitare troppo spargimento di sangue nella scherma, i guantoni della boxe inglese o tailandese servirono allo scopo di ridurre la frequenza dei decessi nei combattimenti. Gli sport, siano essi occidentali, come il pugilato, la lotta libera, la savate e la scherma, o orientali, come la muay thai, sono ormai praticati a livello mondiale. Tecnicamente parlando, non c’è alcuna distinzione tra sport da combattimento e arti marziali. Di solito, per arte marziale si intende qualcosa di più esoterico, con il classico corredo di nomi incomprensibili, mosse segrete, maestri da rispettare e cose del genere. Inoltre, di solito le arti marziali sono “orientali” e gli sport “occidentali”. Ma storicamente parlando questa distinzione non ha senso. c) le tecniche militari Sin dalla seconda guerra mondiale, con la nascita di reparti speciali, gli eserciti occidentali cominciarono ad introdurre tecniche di combattimento ravvicinato nei propri ranghi[12]. Iniziò l’esercito inglese, introducendo l’insegnamento del combattimento corpo a corpo ai commandos (i primi istruttori, Fairbarn e Sykes, avevano appreso le tecmiche come poliziotti di Shangai). Al giorno d’oggi in tutti i reparti speciali, civili e militari, si insegnano tecniche di combattimento senza armi o con armi da taglio, bastoni ecc., che fondono di solito tecniche di diversa provenienza. Le uniche discipline organiche sviluppate per questa via sono il sambo russo e il krav magà israeliano[13]. Le arti marziali sono un retaggio di epoche in cui la sopravvivenza dell’uomo è dipesa dallo scontro con le forze della natura e poi dagli scontri tra uomini stessi. E' difficile prevedere che cosa succederà in una società senza classi, senza Stato, senza privazioni, e dunque senza violenza. Forse, quando l’uomo non sentirà più il bisogno di esprimere una ferocia che non avrà più ragion d’essere, diventeranno danze rituali come la tarantella o la capoeira, che in origine erano arti marziali, forse diverranno parte dell’educazione fisica dei ragazzi. Lasciamo questi problemi ai nostri nipoti.


NOTE
[1] Gli episodi di divieto di porto d’arma sono antichi quanto lo Stato stesso e conducono inevitabilmente allo sviluppo di tecniche di combattimento a mani nude. Essi sono collegati sia all’occupazione militare di un territorio (come nella nascita del karate e del kobudo a Okinawa occupata dai giapponesi, o dell’eskrima e del kali nelle Filippine, dove gli spagnoli nel 1764 vietarono l’uso di lame agli indigeni, portando alla nascita delle tecniche di bastone) sia all’oppressione di classe. Ad esempio, nel 1523 il governo inglese vietò di portare armi da fuoco o armi da lancio a chi aveva un reddito annuo inferiore alle cento sterline. Tale divieto rimase in vigore fino a tutta la rivoluzione industriale. Nel 1588, per evitare problemi ai funzionari che raccoglievano tasse, lo Shogun Toyotomi Hideyoshi proibì ai contadini giapponesi di possedere armi di ogni tipo. Nell’America schiavista era vietato portare armi ai neri e così via. TORNA
[2] Si pensi all’invasione dorica che distrusse la civiltà micenea. Le tribù che arrivarono in Grecia erano secoli indietro quanto a sviluppo sociale, ma avevano armi di ferro con cui armavano tutta la popolazione, nel classico modo tribale. Queste tribù sconfissero i piccoli eserciti micenei, armati di bronzo e numericamente ridotti. Un caso simile si ebbe nell’invasione della Cina da parte dei mongoli. La connessione tra guerra e classi è talmente stretta che il termine stesso è militare, derivando dalle classi di armamento dell’antica Roma, dove a ogni classe sociale corrispondeva univocamente un determinato armamento. TORNA
[3] Si dice, ad esempio, che il famoso lottatore Milone si allenasse trasportando sulle spalle un vitello, il quale, crescendo ogni giorno, forniva una resistenza via via maggiore all’atleta. Questo farebbe di Milone l’inventore delle tecniche di allenamento con intensità crescente, come l’heavy duty training di Mentzer, tuttora utilizzate nella preparazione di molti sport. Per quanto riguarda la tecnica vera e propria, il combattimento senza armi o con armi tradizionali (quali bastoni o armi da taglio) è fondamentalmente lo stesso da migliaia di anni, perchè le leggi fisiche (il parallelogramma della forza), gli aspetti biologici (la conformazione del corpo umano) non sono mutate. Colpi come i pugni, i calci, i soffocamenti, le rotture e chiavi articolari, sono state inventate e reinventate dall’uomo di ogni epoca e di ogni latitudine. TORNA
[4] Come notò Engels: “le palle degli archibugi dei borghesi attraversarono le corazze dei cavalieri”. TORNA
[5] Nel caso giapponese, la struttura di classe della società ebbe un effetto decisivo. Nel XVII secolo in Giappone si producevano armi da fuoco in quantità e qualità maggiori che in Europa. Ma la casta dei guerrieri, guidata dallo Shogun, che aveva di fatto esautorato il potere imperiale, vide correttamente nelle armi da fuoco un pericolo. Per formare un samurai ci volevano anni, ma qualunque contadino avrebbe imparato a sparare in una settimana. I fucili avrebbero condotto alla fine del potere dello Shogun nel giro di pochi anni e i fucili vennero banditi, condannando il Giappone, di lì a qualche secolo, all’umiliazione dell’apertura forzata alle merci occidentali ad opera delle navi del commodoro Perry. TORNA
[6] A tal proposito giova una considerazione sul rapporto tra quantità e qualità. Notò Napoleone, descrivendo il rapporto tra fanti francesi e mamelucchi durante la conquista dell’Egitto: “Due mamelucchi erano senz’altro superiori a tre francesi, cento mamelucchi equivalevano a cento francesi, trecento francesi potevano generalmente battere trecento mamelucchi e mille francesi sconfiggevano invariabilmente millecinquecento mamelucchi” (cit. in F. Engels, AntiDuhring, cap. 12). Quanto più avanza la tecnica, tanto meno contano le qualità individuali, il lavoro vivo, e più importante diviene la disciplina e la tecnologia, il lavoro morto. TORNA
[7] Uno degli episodi più famosi è senz’altro quello riguardante la morte di Magellano. L’esploratore giunse sulle coste dell’isola filippina di Cebu dove venne attaccato e massacrato con i suoi uomini da una tribù di guerrieri guidati dal leggendario Lapu Lapu. Ma per una vittoria del genere, vi furono cento sconfitte. Basti pensare alle gesta dei conquistadores spagnoli, ai genocidi compiuti dall’esercito statunitense contro i nativi del Nordamerica, alla guerra dell’oppio tra impero britannico e Cina e così via. TORNA
[8] L’idea che ai monaci servissero le arti marziali per difendersi è ovvia, a chi non servivano? Allo stesso tempo il buddismo Zen non aiutava l’autodisciplina più della frustra usata contro i soldati. La realtà è che se mai ci fu qualcuno che praticò arti marziali in un tempio buddista nella Cina dei tempi, si dovette trattare di ex militari, guardie di qualche feudatario locale ecc., che insegnavano ai monaci e a chiunque altro quello che avevano appreso dalla loro esperienza. TORNA
[9] Nella tradizione, verso il 1776 un monaco buddista, Ng Mui, creò lo stile wing tsun (o in altre traslitterazioni, wing chun) che significa “radiosa primavera”. Probabilmente, è più simile al vero la storia secondo cui a sviluppare questo stile sia stato un attore cantonese che recitava ruoli da donna. Ma ancor più probabilmente, lo stile venne sviluppato da operaie di etnia Hakka che lavoravano in fabbriche di seta cantonesi. Per proteggersi dalle angherie dei padroni e dai rapimenti a scopi di matrimonio, queste lavoratrici crearono un’organizzazione segreta in cui venivano praticate arti marziali. E' così possibile che la figura mitica Ng Mui non fosse un monaco ma un attivista sindacale il cui soprannome venne associato al nuovo stile di combattimento. TORNA
[10] Dove la leggenda copre più facilmente le tracce della verità è nell’etimologia dei termini. E' ben noto che la parola “karate” non significava in origine “mano vuota” (cioè combattimento senza armi), come pretendevano gli storici giapponesi sotto la dittatura militare ma “mano cinese” e che l’ideogramma sia stato cambiato per coprire la vergogna di una gloria nazionale importata da un popolo ritenuto inferiore. Allo stesso modo la nota “posizione del gatto” di alcuni stili di karate non ha nulla a che vedere con l’agilità dei felini. Nel Giappone medioevale la parola “gatto” indicava la prostituta e la posizione era associata alla postura adottata dalle ragazze per adescare i clienti. Un’origine poco nobile per una posizione marziale. Molto meglio pensare alle movenze sinuose degli animali. Tuttavia, occorre ricordare che nelle arti marziali vi è un forte retaggio totemico, che si esprime nei nomi di animali dati a stili e tecniche. TORNA
[11] Paradossalmente, uno degli sport di combattimento che può vantare a ragione la discendenza più pura è lo sport nazionale canadese, il Lacrosse, originariamente un’arte marziale utilizzata dagli indiani per risolvere dispute tribali. TORNA
[12] In realtà, c’è un precedente. Nel 1907 venne sviluppato, sulla base, del ju-jitsu e altri stili orientali, una disciplina chiamata Defendo che venne insegnata a diversi corpi speciali. Durante la seconda guerra mondiale questa disciplina venne insegnata ai soldati canadesi con il nome di Combato. TORNA
[13] Non a caso: tracciano le loro origini da episodi rivoluzionari (il Sambo dalla rivoluzione russa, il Krav Magà dalle esigenze di autodifesa degli ebrei di Praga contro i fascisti) e significano la stessa cosa (Sambo è l’abbreviazione dell’espressione russa Samozaschitya Bez Oruzhiya, combattimento senz’armi, e Krav Magà in ebraico significa combattimento di contatto). TORNA

 
 
Origine dell'aikido

Al suo arrivo in Giappone, lo Zen Buddista Cinese incontrò la potente Casta Militare dei Samurai socialmente e burocraticamente ben organizzata: con il suo rifiuto dei libri canonici e delle liturgie imposte e grazie alla rigorosa disciplina mentale, fondamentalmente “ marziale”, i nuovi concetti Zen furono bene accolti dai Daimyo feudatari del Guappo e dai Samurai, funzionari paramilitari dello Stato che se ne fecero i portabandiera.
        Intorno al 1600 il Monaco Buddista cinese TAKUAN scrisse un'opera unica nel suo genere in cui spiega le applicazioni degli insegnamenti dello Zen all'arte Marziale (Ken-Jutsu & Bu-Jutsu) « Se si concentra lo spirito (KI) sulla spada dell'avversario, i nostri movimenti saranno intorpiditi e ne saremo tagliati,; se vediamo la spada del nemico, bisogna evitare di esserne presi nello Spirito mentre bisogna entrare in armonia (AI-KI = controllo dello spirito) con il movimento dell'assalitore, senza pensare alla difesa, ne al contrattacco ne a null'altra cosa».
  
     Entrare in armonia al movimento adeguandosi, come l'acqua si adegua spontaneamente al recipiente che lo ospita, allo sviluppo naturale e immediato dei movimenti, approfittando con naturalezza soprattutto senza forzature prestabilite , delle occasioni che immancabilmente ci si presentano e che verranno offerte dall'opponente: questo è lo spirito del TAKEMUSU AIKI che Ueshiba ci ha tramandato.
        Ance Judo e Karate sono fondamentalmente discipline marziali complete, il cui scopo originario era di coltivare lo Spirito nei metodi dello Zen, esercitandone asceticamenete i Movimenti del Corpo: anticamente si praticava infatti sia la Meditazione seduta ( ZAZEN) che la Meditazione in piedi ( RITSU-ZEN) consistente nella pratica sacrale delle Tecniche del Corpo.
  
     Nei concetti Zen, legati ai principi dell'Aiki, il corpo deve muoversi da solo , e solo una paziente pratica interiore permetterà di riuscire nell'intento riunendo “ Corpo & Mente” in un movimento sincrono spontaneo, quasi inconsapevole che sarà sempre coronato da successo nella difesa.
        Per controbilanciare la posizione occidentalizzata del Judo del Maestro Kano Jigoro, che codificava per fine agonistico una sola parte delle conoscenze marziali dell'antica cultura dei samurai, Ueshiba Morihei sviluppò ed approfondì la sua Via dell' AIKI-JUTSU TRADIZIONALE legata al casato dei Takeda ( AI-KI era il livello supremo dell'Arte Marziale dei Samurai nobili) raccogliendo e praticando tutte le tecniche allora pubblicamente conosciute delle Scuole Samurai ufficiali, legate alla conoscenze marziali del Giappone antico, precedenti alla catastrofe sociale della Restaurazione Meiji che tutto distrusse della tradizione e della cultura del Giappone antico.
        « E' lo spirito tradizionale che riunisce e unifica tutte le Scuole delle Arti Marziali dell'Antico Giappone dei Samurai » , afferma Gorge Ohsawa, fondatore della Macrobiotica giapponese, propagatore della Tradizione Marziale e della Medicina Orientale, parlando di Ueshiba Morihei che si ispirava alle Arti Marziali Giapponesi tradizionali della difesa allora conosciute per realizzare il suo Metodo non violento della difesa morbida ancora oggi privo di combattimento fra i praticanti.
        Nel concetto antico dell'AIKI, non si deve ostacolare il proprio ritmo respiratorio né lo spirito dell'attaccante, ma adeguarsi & unificarsi perfettamente ad esso: in questo stato, chiamato dell' Unione dello Spirito ( AI-KUCHI o AI-KI della tradizione Samurai ) si potrà rendere inefficace un movimento di un attacco e deviarlo spontaneamente sfruttandone la sua stessa velocità e direzione, con possibilità costante di conseguenti movimenti di proiezione o di immobilizzazione, parziale o totale, collegati sempre ad un uso libero dei “ meridiani del corpo, di cui era implicata la conoscenza.
        Derivato originariamente dall' Arte della Difesa dei Samurai, l'Aikidô (AIKI della tradizione Antica) del Maestro Ueshiba si considera sempre e costantemente come arte della difesa multipla, da più avversari insieme, anche armati di armi bianche o bastoni da combattimento.
        Caratteristiche dell'Aikidô del Mo Ueshiba sono: agilità, facilità di spostamenti (sempre a rotazione o a spirale) grandi torsioni del tronco, controllo del proprio corpo e conseguentemente di quello dell'avversario il quale attaccando per primo si porta sempre in posizione di svantaggio.
        Le tecniche della difesa vengono decise sul momento, spontaneamente ed inconsciamente, dai movimenti di attacco dell'assalitore: entrambi diventano una cosa sola in movimento, senza lotta violenta né opposizione forzata.

 
 
Il Ki, l'energia interna

"Solo quando la tua mente e tranquilla come una pozza d'acqua e sei fisicamente all'erta, potrai renderti conto dei movimenti dell' avversario e della sua respirazione naturale. In questo stato sentirai i cambiamenti di  sentimento del tuo avversario".

Osensei Ueshiba Morihei

Attraverso la respirazione il Ki si accumula e riempie tutte le parti del corpo. Ma viene emanata come l'acqua che scaturisce inarrestabile solo quando corpo e mente sono sereni e distesi.

Il concetto orientale di KI è molto difficile da definire. In Giappone, la parola è divenuta d'uso quotidiano attraverso i secoli, da quando cominciò l'infiltrazione della cultura cinese. Il KI esprime il concetto delle energie fondamentali dell'universo, di cui fanno parte la natura e le funzioni della mente umana. Nella Cina antica, dato che era la forza che dava origine a tutte le funzioni fisiche e psicologiche, il concetto di KI guadagnò spazio nella medicina, nelle Arti Marziali ed in molti aspetti della vita. Inizialmente utilizzata con propositi militari, si dice che la divinazione dei KI fu utilizzata per determinare quando la forza dei soldato fosse al suo livello massimo, per scegliere secondo essa il movimento militare appropriato. Poi, lo studio dei KI si sviluppò fino ad arrivare ad essere una forma di pratica di predizione dei destino, mediante l'abilità dell'indovino di giudicare o leggere il IKI di una persona. L'interrelazione tra la mente ed il corpo non può essere definita unicamente facendo prevalere le leggi naturali né la sperimentazione scientifica. In Oriente è da tempo che il cor.po e la mente non esistono come entità separate. Perciò tutti gli aspetti della cultura orientale (la Filosofia, l'Arte, le Arti Marziali, la Medicina, ecc.) si sforzano di raggiungere la vita universale attraverso una comprensione empirica dell'unione fondamentale della mente e del corpo. Il Maestro Shingeru Egami (Shotokai) ce lo spiega in un passaggio dei suo libro "Karate-Do Nyumon":
"il problema della mente è profondo. La sua elevazione ad uno stato superiore, l'allargamento e la purificazione di se stessi, sono le ultime cose da conseguire per mezzo della pratica. Si devono allenare mente e corpo, perché diversamente la pratica non ha senso. Tentando di pulire la vostra mente dalle impurità della vita quotidiana, per mezzo del contatto spirituale con gli altri. La mente ed il corpo sono simili a due ruote di un carro, nessuna delle due ha il predominio. Questa è la pratica autentica. Ottenere qualcosa di valore spirituale nella vita è vera pratica. Entrando in contatto fisico con gli altri, si entrerà anche In contatto spirituale.
Nella vita quotidiana bisogna arrivare a conoscere le nostre relazioni con gli altri, come ognuno di noi influisca sugli altri e come le idee si possano scambiare. Si deve rispettare gli altri e pensare bene di loro. Le persone devono essere mentalmente aperte e rispettose del benessere e della felicità altrui. In un combattimento, quando riuscirete a trascendere dalla semplice pratica, riuscirete ad essere una cosa sola con il vostro avversario" Il KI unifica la stessa base della mente e dei corpo ed allo stesso tempo instaura una relazione reciproca con tutte le cose nella fonte della creazione. Tutte le cose vive derivano dal ki, che si dice riempia universo nutrendo tutta la creazione con la sua presenza. Il KI individuale ed il KI della natura sono uniti e s'influenzano reciprocamente. Per esempio, quando diciamo che un giorno soleggiato rallegra il cuore, lo diciamo perché il nostro Ki funziona in empatia (consonanza) con il KI della natura, che, a sua volta, è in empatia con tutte le persone dei mondo. Quando la mente ed il corpo si percepiscono dome un'individualità, è difficile accettare il concetto per il quale la mente e la materia sono nate dallo stesso KI. Keichi Mizushima esprime cosi l'empatia: "lempatia non significa sopraffare gli altri, non significa implicarsi tanto con l'altro da dover ridere e piangere all'unisono. Non significa nemmeno essere totalmente d'accordo con quello che si dice o si critica. L'empatia è lo stato puro che si vive prima che si formi un giudizio. L'empatia è fare lo sforzo di sentire le emozioni presenti nell'altro, senza giudizio di valore e capendo che appartengono ad un'altra persona e non a noi stessi" Il KI non è una sostanza tangibile, ma attraverso le discipline orientali l'occhio della mente può aprirsi ad esso e può avvertire chiaramente la sua presenza. Il maestro di Arti Marziali non ha in sé il minor indizio di coscienza per distinguere tra questo e quello, quando si apre allo specchio della sua anima. Ma se lo specchio della sua anima è molto chiaro, di fatto vede tutto senza vederlo, distinguendo con esattezza senza distinguere. Ce lo descrive ancora una volta in modo perfetto il Maestro Shingeru Egami in questo passaggio. "Nella pratica, quando il tuo avversario sferra

un colpo, devi già essere in movimento. Dopo che l'hai visto muoversi, è già troppo tardi ed un falso movimento da parte tua è fuori luogo, perché il colpo del tuo avversario è quasi mortale. Muoversi simultaneamente con il colpo; si deve sentire l'intenzione dell'avversarlo. Ma, in realtà, non è questione di usare la mente, ci si deve muovere naturalmente, senza pensarci. Quando raggiungerai questo stato, riuscirai a muoverti simultaneamente con l'ordine" Se pensi troppo all'inizio dei colpo dell'avversario, non ti renderai conto dei suoi movimenti. Solo quando la tua mente è tranquilla come una pozza d'acqua e sei fisicamente all'erta, potrai renderti conto dei movimenti delV avversario e della sua respirazione naturale. In questo stato sentirai i cambiamenti di sentimento dei tuo avversario". Molte culture orientali si fondano su questo concetto. Tuttavia, per gli occidentali il KI è un concetto relativamente nuovo e poiché esiste una forte tendenza ad intellettualizzare tutto in termini di analisi scientifica e culturale, il concetto dei KI, che è difficile da spiegare anche linguisticamente o quantitativamente, non è facilmente compreso. Esiste un KI innato che è presente nel principio della vita, nel feto, mentre il KI acquisito si dice che si accumuli esternamente dopo la nascita. Quest'ultimo si materializza in tre classi:

* TEM NO KI: Ki della respirazione ed esiste come aria.

* CHI KI: Ki della terra ed esiste come acqua ed alimenti.

* IKI DEI MERIDIANI: base di tutta l'attività vitale.

Si crede che il KI fluisca prima attraverso il meridiano dei rene e questa è la ragione per cui nelle Arti Marziali orientali il punto di energia più importante dei corpo è quello che si trova sotto l'ombelico e corrisponde al meridiano menzionato; si crede che sia il centro dei IKI. Quando siamo in grado di individuare questo «centro" e di controllarlo, si percepisce come tutto si ordini e si sottometta all'improvviso al suo intorno, in modo tale che tutte le tensioni siano superate e tutto si trasformi in ciò che emana il "centro". Il KI utilizza la mente ed il corpo, integrando il cosciente e l'incosciente. La sua influenza nelle funzioni della mente e dei corpo dipende dall'immagine dei mondo esteriore che ha ogni persona. Una caratteristica intrinseca all'essere umano è il credere di vivere per la sua stessa volontà; tuttavia le nostre vite sono mantenute, fondamentalmente, da una relazione intima con il KI del mondo esterno.
 
 
Il Kokyu, la pratica del respiro

KOKIU. la pratica del respiro

Tutti noi per vivere dobbiamo assorbire ossigeno ed espellere anidride carbonica. In genere "ci dimentichiamo" di respirare e lo facciamo in modo automatico e casuale. Nelle arti marziali giapponesi, invece, si impara a svolgere questa importante azione con più consapevolezza. Una delle principali pratiche respiratorie si chiama kokyu, una respirazione addominale lenta, profonda e lunga da eseguire in modo naturale. Per apprendere il kokyu in genere si preferisce insistere sul controllo dell'espirazione e lasciare che l'inspirazione venga da sé utilizzando il naso. Sarà bene dunque, parlarne un po' di più. Nell'inspirazione i molari sono leggermente serrati, la lingua è in contatto con il palato e le narici si allargano. In questa fase l'ano è chiuso e si immagina che l'aria scenda più in basso dell'ombellico. Quando si inizia la pratica può essere utile contare mentalmente per rendere regolare l'inspirazione e l'espirazione.

Nella pratica del Budo l'inspirazione è rapida, si tiene l'aria nei polmoni per poi decidere se c'è il bisogno di rigettarla rapidamente o, al contrario, lentamente. Bisogna prestare molta attenzione alla padronanza del kokyu, che non consiste solamente nel rinnovare l'aria dei polmoni, o nel rigettare le impurità. Durante la pratica è necessario avere coscienza del respiro per potersi riempire di un Ki puro. Questo irradiamento costante del Ki viene chiamato shisei.

Il Ki immagazzinato esce con potenza quando il bisogno si fa sentire. Esercitarsi continuamente è l'unico modo per ottenere un buona respirazione e un giusto shisei. Bisognerebbe farlo non solo nelle lezioni, ma anche nella vita quotidiana: quando camminiamo, mentre aspettiamo il tram o sul lavoro. Perfino quando si va a dormire, ma bisogna esercitarsi con passione. Se una urgenza si presenta, il vostro kokyu ben allenato da una pratica costante sarà subito pronto.

Il corpo nutrito di Ki dà vigore e quando si è in armonia con la natura (fusi in un sol corpo con l'Universo), questa energia lo invade e si può farla scaturire con una potenza tale da sorpassare la comune immaginazione. Se, però, la nuca, le spalle e le braccia sono contratte inutilmente, o se immaginate di essere forti o al contrario deboli, o se non credete che questa forza esista, allora si formeranno blocchi che non permettono al ki di passare. La forza della respirazione (kokyu ryoku) anche se si esprime tramite noi non è nostra. E' la forza della respirazione del cielo e della terra che supera la nostra identità per darci l'energia dell'Universo.

 
 
Storia del Bokken

Il bokken (bo = legno ken = spada) è parte integrante della cultura, della tradizione e della storia del Giappone. Indubbiamente i primi abitanti del periodo neolitico del Sol Levante utilizzavano armi di legno con accessori di pietra. Anche dopo l'introduzione delle tecniche metallurgiche, armi di legno come bastoni, clave, lance, trovarono applicazione nelle battaglie dell'epoca.Fu grazie al diffondersi delle scuole e degli stili di combattimento del kenjitsu ryu che il bokken assunse un ruolo di grande importanza. Usare spade vere, negli allenamenti, era molto pericoloso e dispendioso e i vari ryu scoprirono che l'alternativa più valida e sicura era quella di usare una spada di legno accuratamente modellata e sagomata, per conferirle la somiglianza e la sensazione di una spada vera. Furono usati vari tipi di legno duro ma i preferiti furono la quercia rossa e bianca. Via via che i vari ryu approntavano i loro metodi e stili, i bokken subirono variazioni nella forma e nella fabbricazione. La storia del bokken fu profondamente influenzata dalle leggi dello Shogunato. I rappresentanti delle varie scuole di Kenjitsu verificavano l'efficacia delle loro tecniche in Shinken Shobu (duelli con le spade vere). Ciò, ovviamente, comportava la morte del perdente o ,in alcuni casi, di entrambi i contendenti. Furono emanati quindi alcuni editti che proibivano lo Shinken Shobu. Il bokken fu il sostituto naturale del ken nei duelli e, sebbene non tagliasse, comunque provocava gravi danni e in alcuni casi anche la morte. Infatti, divenne un arma talmente efficace che alcuni samurai la preferivano addirittura all spada vera. Il famoso Myamoto Musahi vinse più di 60 duelli ,molti dei quali usando un bokken contro armi reali. Cosi anche quest'arma fu vietata riservandone l'uso solo nei KATA. Nei duelli tra scuole fu usato lo shinai (spade formate da strisce di bambù tenute insieme da legacci di cuoio) che consentiva un certo margine di incolumità.Il primo shinai fu creato da Hikida Bungoro, seguace dello Shinkage , che nel periodo Edo (1600-1815) riprese e migliorò il fukuro (spada inventata dal m° Kamiizumi Hidestsuma formata da aste di bambù inserite in un involucro di cuoio). Successivamente lo shinai fu accoppiato a delle protezioni, la qualcosa avrebbe aperto la strada al Kendo. Nonostante sia uno strumento ideale per la pratica sportiva lo shinai non dà la piena sensazione di una spada vera, per cui i kata di Kendo sono eseguiti con il bokken . Quello che in genere si acquista a prezzi bassi è un bokken commerciale senza alcuna identificazione o stile. Molte scuole classiche del Giappone utilizzano dei bokken che caratterizzano talmente il loro ryu da essere riconosciuti dalla forma del bokken stesso.

 
 
 
 
 
Come piegare l'hakama
Appoggiare l'hakama a terra con la parte anteriore rivolta verso il basso. Sistemare accuratamente i fianchi in modo che siano paralleli e ben allineati, sistemare le due grosse pieghe centrali.
Capovolgere l'hakama tenendo in mano la parte superiore, dove ci sono i lacci, in alto accompagnando la parte inferiore con l'altra mano per evitare che si scompongano le piegne già messe in ordine.
Ora la parte frontale è verso l'alto e occorre sistemare le pieghe anteriori partendo da quelle centrali.
L'hakama è asimmetrica, la parte anteriore ha 3 pieghe da un lato e 2 dall'altro, quindi non cercare di renderla simmetrica!
Nel sistemare le pieghe anteriori occorre fare attenzione a non tirare troppo, altrimenti si mettono fuori posto quelle posteriori e occorre ricominciare da capo.
Ripiegare con cura verso l'interno i due lati in modo che la larghezza dell'hakama diventi pari a quella del rinforzo per la schiena.
Piegare il fondo verso l'interno fino a circa un terzo della lunghezza avendo cura di mantenere le pieghe al loro posto.
Piegare nuovamente verso l'interno fino alla base del rinforzo in modo da ottenere praticamente un quadrato.
Piegare i lacci lunghi in modo che diventino lunghi quanto la diagonale dell'hakama piegata.
Appoggiare i lacci sull'hakama incrociandoli, avendo cura che non debordino e che siano ben distesi e non attorcigliati.
Prendere il primo laccio corto e farlo passare sotto i lunghi incrociati seguendo il disegno;
passanre quindi prima sopra il primo laccio lungo che si incontra e poi in verticale sotto tutti e due.
Ripiegare nuovamente il laccio corto di lato in modo da legare assieme laccio lungo e la parte iniziale del laccio corto stesso come da disegno.
Per terminare con il primo laccio corto, appoggiare semplicemente la parte restante sul nodo che si è creato, ottenendo lo situazione qui a fianco.
Ripetere il tutto per il secondo laccio corto avendo cura, quando si passa attorno ai lacci lunghi, di imbrigliare sempre anche quello corto già messo in ordine. Concludere inserendo la parte terminale del secondo laccio corto sotto il nodo del primo.
Qui a fianco il risultato finale, in bocca al lupo!
 
 
Dizionario Giapponese - Italiano (termini usati in Aikido)

Agura: Posizione a gambe incrociate.
Ai-hanmi: Posizione rispettivamente uguale.
Atemi: Colpi contro parti vulnerabili del corpo.
Buki-waza: Tecniche con armi.
Chudan: Movimento o posizione centrale.
Dan: Grado di cintura nera.
Dojo: Palestra.
Domo-arigato-gozaimashita: Molte grazie (molto formale, usare quando la lezione é finita).
Gedan: Movimento o posizione bassa.
Gokyo: Quinta tecnica di immobilizzazione.
Gyaku-hanmi: Posizione rispettivamente opposta.
Hai dozo: "Prego, fate l'esercizio adesso".
Haku shu: Purificazione fare con due battimano.
Henka-waza: Variazione da una tecnica.
Hanmi: Posizione di base dell'Aikido con l'angolazione dei piedi che forma un triangolo.
Hanmi-handachi: Posizione con tori in seiza e uke in piedi.
Hidari: Sinistra.
Ikkyo: Prima tecnica di immobilizzazione.
Irimi-nage: Proiezione in entrata (Irimi = entrare).
Irimi Tenkan: Movimento di entrata seguito da tenkan.
Iwama Ryu: Scuola di Iwama. Il dojo di Iwama era la palestra di campagna di O'Sensei M.Ueshiba. E sucessivamente del maestro M.Saito sucessore tecnico che ha chiamato la scuola di aikido Iwama Ryu.
Jinja: Un sacrario della religione shinto.
Jiyu-waza: Tecniche libere.
Jo: Bastone.
Jo awase: Tecniche di armonizzazione per due persone con il bastone.
Jo dori: Tecniche di prese a mani nude contro attacco con bastone.
Jo nage: Tecniche con il jo contro una persona a mani nude che afferra il jo.
Jo suburi: Esercizi individuali con il bastone.
Jodan: Movimento o posizione alta.
Juji-garami (o Juji-nage): Proiezione con le braccia incrociate.
Juji ukemi: Cadute incrociate.
Kaiten-nage: Proiezione rotatoria.
Kaeshi-waza: Contro tecniche.
Kamae: Posizione di guardia.
Kami dana: La simbolica casa dello spirito del dojo.
Kata-dori: Presa alla spalla.
Katame waza: Tecniche di controllo o di immobilizzazione.
Katate-dori: Presa al polso con la mano opposta (destra con sinistra).
Ken: Spada.
Ken awase: Awase = armonia. Esercizi in coppia con la spada.
Ken suburi: Esercizi individuali con la spada.
Ken-tai-jo: Tecniche con il jo contro il ken.
Kiai: Grido, estensione del propio Ki.
ki-hon: Forma di base
Ki-musubi-no-tachi: Nome di un tecnica con la spada fatta da due persone.
ki-no-nagare: Forma fluida in movimento
Kohai: Lo studente più giovane del dojo.
Kosa-dori: Presa al polso con la stessa mano (destra con destra).
Kote-gaeshi: Torsione del polso.
Kumi-jo: Combattimenti codificati con il bastone.
Kumi-tachi: Combattimenti codificati con la spada.
Kyu: Grado sotto i dan.
Ma-ai: Distanza corretta.
Mai ukemi: Cadute in avanti.
Migi: Destra.
Morote-dori: Presa con due mani su un braccio.
Muna-dori: Presa al petto.
Nage waza: Tecniche di proiezione.
Nikyo: Seconda tecnica di immobilizzazione.
Omote-waza: tecnica fatta entrando davanti uke.
Onegaishimasu: Prego-Per favore (usare all'inizio della lezione e quando l'insegnate ha finito di mostrare una tecnica).
Oyo-waza: Tecnica applicata.
Randori: Pratica libera spesso con più attaccanti.
Rokkyo: Sesta tecnica di immobilizzazione.
Ryote-dori: Presa ad entrambi i polsi.
Sankyo: Terza tecnica di immobilizzazione.
Seiza: Posizione in ginocchio seduti sui talloni.
Senpai: Lo studente più vecchio nel dojo.
Sensei: Maestro.
Shiho-nage: Proiezione in quattro direzioni.
Shikko: Camminare sulle ginocchia.
Shomen-uchi: Colpo frontale alla testa.
Sode-guchi-dori: Presa all'imboccatura della manica.
Sode-dori: Presa alla manica all'altezza del gomito.
Soto-mawari: Esterno.
Suwari-waza: Tecniche dalla posizione seduta sui talloni.
Suwari-waza Kokyu-ho: Kokyu-ho in posizione seduta.
Tachi-dori: Tecniche di disarmo da attacco con spada.
Tachi-waza: Tecniche dalla posizione in piedi.
Takemusu Aiki: Termine usato dal fondatore per indicare la creatività illimitata dell'aikido. Il M° M.Saito chiama il proprio tipo di aikido Takemusu Aiki.
Tai-no-henko: Movimento di base di tutte le tecniche ura-waza.
Tai-sabaki: Movimento con il corpo.
Tanto-dori: Tecniche di disarmo da attacco con pugnale.
Tegatana: Mano a lama.
Tenchi-nage: Proiezione cielo terra.
Tenkan: Movimento circolare dei piedi.
Tobu ukemi: Cadute alte.
Tori: Persona che esegue la tecnica (letteralmente colui che viene preso).
Tsuki: Pugno.
Uchi: Colpo.
Uchi-deshi: Una vecchia tradizione giapponese, dove uno studente è collocato come apprendista interno al dojo.
Uchi-mawari: interno.
Udekimi-nage: Proiezione con leva sotto il braccio.
Uke: Persona che riceve la tecnica (letteralmente colui che partecipa).
Ukemi: Cadute.
Ura-waza: Tecnica fatta ruotando dietro l'uke.
Ushiro eri-dori: Presa al bavero con una mano da dietro.
Ushiro ryo-kata-dori: Presa ad entrambe le spalle da dietro.
Ushiro ukemi: Cadute all'indietro.
Waza: Tecniche.
Yokomen-uchi: Colpo alla tempia.
Yonkyo: Quarta tecnica di immobilizzazione.
Yudansha: Una persona che ha un grado di dan (cintura nera).
Zanshin: Stato di consapevolezza e concentrazione mantenuto. È il "passare attraverso" di una tecnica; é il persistere del legame con il partner anche dopo una proiezione attraverso un ininterrotto flusso di ki contemporaneamente pronti a ricevere qualsiasi nuovo attacco.

31 jo no kata: Serie di 31 movimenti esercizio individuale con il bastone.

 
Il nome di una tecnica in giapponese è formato dal nome dell'attacco, più il nome della tecnica seguita dal nome della direzione, esempio: Kata-dori Ikkyo Omote-waza.
 
 
Letture consigliate per chi vuole approfondire

Ho inserito in questa pagina alcuni libri che consiglio, ovviamente c'è ne sono molti altri che non ho inserito, sta a voi cercare e approfondire l'argomento che vi interessa.

 
Morihiro Saito

Takemusu Aikido vol 1

Tecniche di base

Edizione Mediterranee
 

Morihiro Saito

Takemusu Aikido vol 2

Altre tecniche di base

Edizione Mediterranee


Morihiro Saito

Takemusu Aikido vol 3

Ultime tecniche di base

Edizione Mediterranee
 


Morihiro Saito

Takemusu Aikido vol 4

Kokyunage

Edizione Mediterranee


Morihiro Saito

Takemusu Aikido vol 5

Bukidori e Ninindori

Edizione Mediterranee
 


Morihei Ueshuiba

BUDO ,gli insegnamenti del fondatore dell'Aikido

Edizione Mediterranee

John Stevens

Ueshiba , La biografia del fondatore dell'Aikido.

Edizione Luni
 

John Stevens

L'essenza dell'aikido , gli insegnamenti spirituali del maestro.

Edizione Mediterranee


Kenji Tokitsu

Il ki e il senso del combattimento

Edizione Luni
 


Kenji Tokitsu

La ricerca del KI

Edizione Luni

tech-book1

tech-book2
 
Hitohira Saito
Basic Technique
Vol 1



Hitohira Saito
Basic Technique
Vol 1
 
 

Inoltre vorrei consigliarvi anche le opere del Maestro Itsuo Tsuda qui sotto elencate pubblicate dalla Luni Editrice, partendo dalla prima. Il Maestro Tsuda dopo una vita di studi sul Ki e la respirazione ha creato La scuola della respirazione dove all'interno si insegna Il movimento rigeneratore .
Il movimento rigeneratore si pratica mediante la sospensione momentanea del sistema volontario, durante il movimento , il conscio, invece di essere angosciato come quello di un malato, resta calmo e sereno.
Invece di essere confuso come quello di un folle, resta lucido.
Invece di essere imprigionato e limitato come quello di un ipnotizzato, resta libero.

Questi libri aprono la mente a un rapporto più naturale con il corpo.
- Il Non-Fare
- La Via della Spoliazione
- La Scienza del Particolare
- Uno
- Il Dialogo del Silenzio
- Il Triangolo Instabile
- Anche se non penso, Sono
- La Via degli Dei
- Di fronte alla Scienza
- Cuore di Cielo Puro
 
 
Intervista a Morihiro Saito Sensei

Intervistatori:  Franzisca Roller e Miles Kessler

Traduzione: Enrico Neami

(2002) TAKEMUSU TRIESTE

I maggio 1999.

I: Qual è la differenza principale tra l'aikido e le altre arti marziali ?

S: La differenza principale sta sicuramente nel fatto che nell'aikido non esistono tornei o forme di competizione di sorta. Il Fondatore studiò numerose discipline marziali e si mise in competizione con tante altre ed alla fine capì che non c'è alcuna necessità di competere. L'intenzione è quella di creare, con l'ausilio dell'aikido nello stile tradizionale, o Budo, un mondo meraviglioso che sia una sorta di grande casa per un'unica famiglia. Questo è il senso dell'aikido. Al di là di ciò, l'aikido come arte marziale è estremamente razionale. Penso che ogni arte marziale abbia la sua razionalità, ma ciò è particolarmente vero per l'aikido. Nell'aikido ognuno può praticare, comprendere e ragionare. Non si tratta assolutamente di un'arte marziale adatta soltanto a gente forte o addestrata : anche i bambini e i più giovani possono allenarsi e diventare dei buoni aikidoka. Io ho provato numerose altre arti marziali e suppongo sia questo quello che mi fa preferire l'aikido. 

I: Che significato hanno le armi nel Takemusu Aikido ed in che modo si pongono in relazione alle tecniche di taijutsu ?

S: L'aikido è un'arte marziale. Indifferentemente da quanto uno sia bravo nello judo, se prende in mano una spada da kendo e si fa battere da un principiante, non è un Budoka ma soltanto un judoka. Perfine il campione giapponese di kendo, se si mette un judogi e si fa sbattere a terra da un principiante, non è un Budoka ma solamente un kendoka. O Sensei, il Fondatore, diceva : "ciò non è buono". Tutto è uno, è un insieme. Ed è per questo che nell'aikido, pur se i principi della spada sono solamente formativi, tutti i movimenti del corpo così come le tecniche di armi sono assolutamente similari. Ed è perciò che le tecniche di armi sono indispensabili nell'aikido : ne sono una parte. Alcuni dicono che l'aikido è una collezione di tecniche, ma questo non è vero. Che dire ? Ciascuna delle tecniche fa parte dell'insieme. Indifferentemente se noi prendiamo l'aiki-ken, l'aiki-jo o il taijutsu, ciascuno di essi da solo non è aikido. Le armi sono una fetta particolarmente importante dell'aikido. 

I: Molti stranieri che arrivano in Giappone hanno una seria difficoltà a comprendere la cultura giapponese. Come possono apprenderne qualcosa tramiTe l'aikido ?

S: Attraverso l'aikido gli esseri umani possono divenire brave persone trovando ed accogliendo la bontà che gli sgorga da dentro. O Sensei diceva sempre : "se non imparate per l'intera umanità e per il mondo, non vi insegnerò più". È per questo che bisogna rafforzare il corpo ed imparare, attraverso il “principio dell'Aiki”, come connettersi ad ogni cosa, armonizzarsi ad ogni cosa ed imparare per l'umanità ed il mondo. O Sensei avrebbe risposto alla domanda “Cos è l'aikido ?” dicendo che si tratta di un'arte marziale per l'educazione con l'intento di creare una società buona e meravigliosa. Questo vuol dire ‘senza competizione ed è questo il proposito e la richiesta di O Sensei. Da ciò si capisce perché la competizione non è necessaria. Se vi dovesse accadere di trovarvi in una situazione in cui dovete difendervi fisicamente, sarebbe molto più importante il modo in cui vi siete allenati nell'aikido che non aver sostenuto tante gare. Esistono così tante tecniche non violente di autodifesa ! In una competizione si parte spesso con l'intento di utilizzare una data tecnica e si aspetta quindi l'opportunità di metterla in atto : quello è il momento in cui è probabile essere sopraffatti. È per questo che O Sensei incitava sempre ad allenarsi con serietà, come se si fosse circondati da numerosi avversari. Ed è così che l'aikido è particolarmente utile nelle occasioni della vita quotidiana, poiché ci si allena in una molteplice varietà di modi in cui non è necessario l'uso della forza o della violenza. 

I: Qual è l'utilità dell'aikido nella vita di ogni giorno ?

S: Il primo e principale utilizzo dell'aikido nella vita di ogni giorno è l'awase, ovvero la capacità di armonizzarsi. È sempre possibile applicare la variazione di un principio dell'aikido a chiunque, sia esso 

grande o piccolo, obeso o magrissimo, rigido o elastico. Non si deve mai scontrarsi o collidere in un'opposizione di forza ma cercare sempre di seguire i movimenti dell'altro: ad esempio tirare quando l'altro spinge o spingere quando l'altro tira è una forma di awase. Ma ancora, se un'altra persona attacca, si deve fare un passo indietro ed ascoltarlo con pazienza per cercare di contenerla ; o quando l'altro è retrivo si deve stimolarlo ed incoraggiarlo. Vedete che si può utilizzare l'aikido in molto modi. Quando parlate cogli altri, sul lavoro ed in società, potete applicare gli stessi principi dell'aikido. Spesso i maestri dicono agli allievi : "quando entrate nel mondo del lavoro utilizzate i principi dell'aikido, usate l'aikido anche in società". Così quando fate tanto aikido sviluppate la capacità di ‘guardar dentro e ci sono molti buoni modi per usarla. Ciò è presente in ogni arte marziale ma è particolarmente visibile nell'aikido. 

I: Molti maestri non parlano molto delle tecniche di O Sensei ma piuttosto spendono molte parole sui loro pensieri e sulla loro filosofia. Cosa ne pensate, Sensei ?

S: Ci sono molti maestri d'aikido ma sono pochi quelli che hanno ottenuto tanti insegnamenti diretti dal Fondatore. Nel vero budo non ci si esprime attraverso scritti o discorsi. "Gli dei non concedono la grazia a chi parla troppo". Questo diceva O Sensei. Spesso chi fa buoni discorsi e scrive validi trattati non è in grado di fare un buon aikido. È molto meglio non parlare troppo ed imparare di più col corpo. È anche vero che le persone sono differenti : alcuni apprendono tramite la mante ascoltando, altri apprendono tramite il corpo guardando. Il Fondatore spesso diceva : "Se mostrate la via a qualcuno, dovete prima fare voi stessi, poi dimostrare e quindi spiegare". Ciò significa, per esempio, che si può far comprendere l'irimi a qualcuno entrando ben dietro al partner e non tirandoselo addosso. Cioè al Fondatore non piaceva parlare troppo. In ogni caso una certa visuale filosofica è necessaria. Quando il Fondatore iniziava a parlare dell'aikido, uscivano sempre le leggende sugli dei. Ciascun maestro ha la sua propria filosofia, ma in generale io preferisco non parlare troppo. Alcune persone sanno parlare bene, ma se li guardate da vicino vedete che fanno un aikido che nessuno comprende. Non ce la fanno perché il Fondatore non aveva insegnato loro direttamente. Dopo la seconda guerra mondiale O Sensei era senza lavoro. Per poter mantenere viva la sua arte marziale, da quel momento iniziò ad esplorare entusiasticamente l'aikido in Iwama, rivolgendosi direttamente allo Spirito Guardiano del Budo e pregando ogni mattina ed ogni sera. E così venne creato il Takemusu Aikido. Egli diceva che il precedente aikido non era quello “vero”. Poteva non essere sbagliato (l'aikido precedente, N.D.T.) ma questo era quello che diceva O Sensei. Nel Takemusu Aikido, poco a poco, appaiono spontaneamente le nuove tecniche e ciò non cessa mai, è infinito come la primavera. Questo vuol dire Takemusu. In ogni caso, per ogni tecnica c'è una forma di base ed è necessario imparare queste basi nell'ordine corretto per essere in grado di apprendere il vero aikido. 

I: Qual è il significato del kiai ?

S: Il kiai è qualcosa che esce naturalmente quando si ha ki o energia. Viene da solo. Esistono dei modi per forzare il kiai, ma con O Sensei non era così. Diceva che si doveva produrlo dall'addome. Certamente nelle arti marziali un buo kiai è un segno di buona energia. E' importante fare il kiai. Allenarsi senza il kiai non dà buoni progressi : non si è forti e non si ha energia. Con un grande kiai l'allenamento è pieno di energia. E questo è il motivo per cui è bene espirare fortemente. O Sensei diceva sempre : "Ma che kiai è questo ?? Fanne uno più forte ! Esci e fai cadere le rondini dagli alberi !!!" E spesso diceva anche : "Una volta ho fatto un kiai nella sede di un quotidiano, Asahi Shimbun, e quattordici persone sono cadute dalle loro sedie !" Quando dovete allenarvi dove non potete far confusione, ad esempio perché i vicini protestano, non potete farci nulla : siate silenziosi. Ma, ove possibile, dovete gridare forte. 

 
 
Intervista a O'Sensei

A: Quando ero uno studente al college il mio professore di filosofia ci mostrò una foto di un famoso filosofo, ed ora sono colpito dalla somiglianza con Lei.
0- SENSEI: Beh, può darsi che sia entrato anche nel campo della filosofia, dato che la mia parte spirituale è molto più enfatizzata rispetto a quella fisica.

B: si dice che l' Aikido sia molto diverso rispetto al Judo ed al Karate.
0- SENSEI: Secondo me si può dire che essa sia l'arte marziale definitive. Questo perché si basa su una verità universale. Quest' universo si compone di molte parti differenti che nonostante ciò sono tenute insieme, come una grande famiglia; questa è una rappresentazione di pace ad altissimo livello. Abbracciando il punto di vista dell' universo, l' Aikido non può essere altro che un' arte marziale d' amore. Non può essere un' arte di violenza. Per questa ragione potrebbe essere definita come un' ulteriore manifestazione del Creatore.

L 'Aikido, infatti è immenso. l suoi piani di allenamento sono la Terra ed il Cielo. Le attitudini mentali dei praticanti devono essere di pace e di totale non violenza. È questa la giusta mentalità delle arti marziali giapponesi: la violenza è generata da una mente alterata. Il nostro dovere è quello di trasformare il mondo in un paradiso terrestre. Attività come la guerra sono fuori posto.

A: Ciò è sostanzialmente differente dalle scuole tradizionali.
0- SENSEI: Sicuramente è molto diverso. Se ci guardiamo alle spalle possiamo accorgerci di quanto si sia abusato delle arti marziali. Durante il periodo degli stati combattenti, per esempio, i ricchi signori utilizzavano le arti marziali per scopi personali e per soddisfare i propri interessi. Ciò penso che sia totalmente in appropriato. Un tempo pensavo che le arti marziali servissero a sconfiggere i soldati nemici in guerra; per questo, quando la guerra finì, rimasi molto sconcertato. Questo mi spinse a cercare, nei sette anni successivi, il vero spirito del Sudo, e fu allora che mi venne in mente di costruire un paradiso sulla terra. La ragione di questa soluzione sta nel fatto che i cieli e la terra hanno raggiunto una relativa stabilità nella loro evoluzione, mentre gli esseri umani sembrano essere in un perenne stato confusionale.Prima di tutto dobbiamo combattere questa situazione. La realizzazione di questa missione è un passo avanti per l' intera umanità. Quando arrivai a questa conclusione, realizzai che la vera natura dell' Aikido è la pace e l'armonia assoluta. L 'Aikido nasce in accordo ai principi dell'universo, perciò è un audo di assoluta vittoria.

B: Vorrebbe parlarci dei principi dell' Aikido? La gente pensa che sia qualcosa di mistico come il ninjutsu, e dice che Lei sia in grado di sollevare oggetti pesantissimi con una sorta di arcano potere.
0- SENSEI: In apparenza potrebbe sembrare qualcosa di mistico, ma non è così. In Aikido noi utilizziamo unicamente la forza del nostro awersario, sicchè più forza lui usa più è facile per noi.

B: In questo senso c'è Aiki anche nel Judo,in cui bisogna sincronizzare se stessi con il ritmo del partner. Se lui tira, tu spingi e se lui spinge tu tiri. Movendoti secondo questo principio gli fai perdere il suo equilibrio e quindi applichi la tua tecnica.
O-SENSEI: In Aikido non esiste assolutamente primo attacco. Attaccare vuol dire essere già stati sconfitti nello spirito. In accordo col principio di non resistenza, non ci opponiamo all' attaccante. Quindi, si potrebbe dire che in Aikido non esiste avversario.La vittoria per noi è "Masagatzu Agatzu"; cioè quando vinci sopra ogni cosa, in accordo con la missione divina, allora possiedi la FORZA ASSOLUTA.

B: Si sta riferendo, per caso al "sen no sen", l'iniziativa sull'attacco?
O-SENSEI : Assolutamente no. Se volessi provare ad esprimerlo a parole dovrei dire che si controlla il proprio partner, senza volontà di dominio. È uno stato di perenne vittoria. Non c'è occasione di sconfitta. In questo senso non c'è scontro in Aikido; e se anche tu avessi un avversario, egli sarebbe solo un compagno da controllare.

B: Quante tecniche esistono in Aikido?
0- SENSEI:
Ci sono circa 3000 tecniche di base, ed ognuna di esse ha 16 variazioni, così ce ne sono svariate migliaia. A seconda della situazione puoi crearne tu stesso di nuove.

A: Quando ha iniziato lo studio delle arti marziali?
0- SENSEI: A 14 -15 anni circa. Ho imparato, in ordine, il Ju Jutsu delle seguenti scuole: Tenshinyo, Kito, Yagyu, Aioi, e Shinkage. Ma comunque non ero soddisfatto e cercai ancora il vero budo. Praticai Sojutsu e Kendo. Ma anche queste, concentrate sul combattimento uno contro uno,non riuscirono a soddisfarmi. Cosi girai tutto il Paese, allenandomi e cercando la Via, ma invano.

A: Si potrebbe dire che fu il periodo di allenamento ascetico del guerriero?
0- SENSEI: Si, la ricerca del vero Sudo.Quando ero solito andare alle altre scuole, non sfidavo mai i loro maestri. Chi peregrina tra i dojo è troppo stanco per dimostrare la sua vera abilità. Per cui pagavo loro il regolare onorario e cercavo di imparare qualcosa. Se, infine, ero io ad essere superiore, riprendevo i miei soldi e tornavo a casa.

B: E quando l'Aikido ha iniziato a prendere forma?
0- SENSEI: Come ho detto prima, viaggiai per molti posti alla ricerca del vero Sudo. Poi intorno ai 30 anni, giunsi ad Hokkaido. In quell'occasione, mentre mi trovavo nella provincia di Kitami, incontrai un certo TAKEDA SOKAKU, maestro del clan di Aizu. Egli insegnava il Jujitsu della Daito-ryu. Durante il mese che studiai con lui ebbi una sorta di inspirazione. Più tardi lo invitai a casa mia, ed insieme con altre 15 o 16 persone divenni uno studente dell' essenza del budo.

B: Quindi scoprì l'Aikido studiando jujitsu con Takeda?
O-SENSEI: No. Sarebbe molto più accurato dire che il maestro Takeda aprì i miei occhi al Budo.

A: Ma allora in quale particolare circostanza nacque l' Aikido?
O-SENSEI: Successe questo. Mio padre si ammalò gravemente ne11918. io fui costretto a lasciare Takeda e fare ritorno a casa.lungo la via sentii dire che se avessi pregato ad Ayabe, in provincia di Kioto, ogni desiderio mi sarebbe stato esaudito. Quindi mi recai lì ed incontrai Onisaburo Deguchi. Quando, però, tornai a casa, appresi che mio padre era morto comunque. Avendo incontrato Deguchi solo una volta, decisi di tornare ad Ayabe con tutta la mia famiglia e vi rimasi fino a11925, all' età di 40 anni. Un giorno, dopo aver combattuto contro un maestro di kendo, mi stavo rinfrescando in giardino. All'improvviso una cascata di luce dorata scese dal cielo e mi avviluppò .D'un tratto il mio corpo crebbe a dismisura, fino a toccare i confini dell' intero universo. Illuminato da quest' esperienza, realizzai che non bisogna concentrarsi sulla vittoria: il cuore del Budo è l'amore. Questo è l' Aikido.

B:Quindi nel Budo non è fondamentale essere forti. Sin dai tempi antichi viene insegnata la comunanza tra lo Zen e la spada. Similmente l'essenza del Budo non può essere compresa senza svuotare prima la propria mente. In questo stato, nulla, sia giusto che sbagliato, ha più valore..
O-SENSEI: Come ho detto prima, l' essenza del Budo è la via di Masagatzu Agatzu.

B: Ho sentito una storia che la vedeva coinvolta in un combattimento con 150 operai. .
O-SENSEI: lo? Per quello che mi ricordo il maestro Deguchi giunse in Mongolia nel '24 per coronare il suo sogno di creare una grande comunità asiatica in accordo con la linea politica nazionale. lo lo accompagnai per sua richiesta finché non venni chiamato alle armi. Insieme attraversammo la Mongolia e la Manciuria. Durante il viaggio ci imbattemmo in un gruppo di banditi delle montagne, che cominciarono a spararci contro pesantemente.io risposi al loro fuoco sorridendo e poi mi lanciai in mezzo a loro attaccandoli con fierezza e disperdendoli.

A: Restò per molto tempo in Manciuria?
O-SENSEI: Prima dell' incidente sono stato in Manciuria molto spesso.Ero supervisore per le arti marziali per l'organizzazione di Shimbuden come per la Kenkoku University in Mongolia. Per questa ragione ero ben accetto lì.

B: Hino Ashisei scrisse una storia chiamata "Oja no Za" in cui racconta la vita di Tenryu Saburo, eroe del mondo del sumo, e del suo incontro con un maestro di Aikido e la riscoperta del suo vero spirito. Per caso questa storia la riguarda?
O-SENSEI: Si.

B: Che genere di rapporto ebbe con Tenryu ?
O-SENSEI: Lui stette a casa mia per circa tre mesi.

B: Questo accadde in Manciuria?
O-SENSEI: Si ci incontrammo in occasione del torneo in onore del10° anniversario del governo in Manciuria. C'era quest'uomo gigantesco alla festa ed un mucchio di gente intorno a lui che faceva commenti sulla sua incredibile forza. Domandai allora chi fosse e mi fu spiegato che si trattava di Tenryu, famoso lottatore di Sumo. Mi presentai a lui ed alla fine decidemmo di confrontare le nostre capacità l'uno contro l'altro.Dunque mi sedetti e dissi a Tenryu:" Spingimi, prova a rovesciarmi all'indietro. Spingi più folte che puoi, non trattenere la tua forza. " Forte dei segreti dell'Aikido, sapevo che non avrebbe potuto muovermi di un millimetro. Comunque Tenryu sembrò stupirsi di ciò e divenne uno studente di Aikido. Era un brav'uomo.

A: Sensei, lei ha anche avuto rappolti con la marina?
O-SENSEI: Si, per lungo tempo. Cominciata nel 1928, la mia collaborazione con l'accademia navale come insegnante part-time, durò per circa 10 anni.

B: Allora insegnò anche ai soldati durante quel periodo!
O-SENSEI: a eh, in più di un'occasione ho insegnato ai militari; cominciai con l'Accademia navale, ma nel '33 tenni delle lezioni anche per la Scuola Militare di Toyama.Poi nel 1942 insegnai Aikido anche alla scuola di polizia. In un'altra occasione, su invito del generale Maeda, tenni una dimostrazione per l'esercito.

A: Insegnando a dei soldati sarà certamente stato coinvolto in qualche episodio divertente.
O-SENSEI: Si, una volta fui persino vittima di un agguato.

B: Forse perchè la consideravano un insegnante troppo severo?
O-SENSEI: No, non per quello. Credo che loro volessero provare le mie capacità. Fu nel periodo in cui insegnavo all' Accademia di Polizia.una sera mentre camminavo nella sala di addestramento, percepii che c'era qualcosa di strano. Qualcosa si mosse sopra di me. All' improvviso, da tutte le direzioni,saltarono fuori da alcuni cespugli ed avvallamenti, un gruppo di soldati e mi circondarono. Cominciarono quindi ad attaccarmi armati di spade e bastoni di legno. Siccome sono avvezzo a questo genere di cose, non mi preoccupai più di tanto. Non appena provavano a colpirmi, mi spostavo semplicemente da una patte e dall' altra ed intanto mi accorgevo che stavano perdendo fiducia in se stessi. Alla fine caddero esausti. La vita non manca di riservare sorprese. L 'altro giorno,dopo una conferenza un tipo ha riconosciuto la mia faccia e mi è corso incontro salutandomi. Dopo aver parlato qualche minuto, capii che si trattava di uno degli uomini che mi avevano attaccato quel giorno di tanti anni fa. Con aria imbarazzata mi ha detto:" Sono molto spiacente per quell'incidente. Quel giorno stavamo discutendo sulla reale efficacia del nostro insegnante di Aikido. Un gruppo di noi dalle teste calde decise di metterlo alla prova. Ci nascondemmo in 30, circa. E rimanemmo totalmente sconcertati che trenta uomini addestrati alla guerra non avevano potuto nulla di fronte alla vostra forza. "

C: Ci furono anche episodi riguardo alla scuola di Toyama?
O-SENSEI: Prove di forza? Una volta, mi pare prima dell' incidente alla scuola di polizia. Un gruppo di capitani, istruttori alla scuola di Toyama ,mi invitò a provare la mia forza contro di loro. Loro tutti si vantavano delle proprie capacità con frasi del tipo" Sono in grado di alzare tot peso" oppure"Posso spaccare tegole di tot diametro", sicché dissi loro " lo non ho questo genere di forza, però posso abbattere gente come voi solo con il mignolo. Ma siccome mi dispiace farvi del male, facciamo così". Stesi il mio braccio destro e poggiai l'indice sopra una scrivania, quindi li invitai a salire sul mio braccio coricandosi sulla pancia. Uno dopo l'altro, increduli, cominciarono ad ammucchiarsi sul mio braccio. Quando tutti e sei furono saliti, chiesi all'uomo vicino a me un bicchiere d'acqua. Mentre stavo bevendo con la mano sinistra, il gruppo di uomini sul mio braccio destro tacque sbalordito.

 

B: A parte l' Aikido, lei deve avere una forza fisica sovrumana!

O-SENSEI: Non proprio.
KISSHOMARU: Sicuramente egli è molto forte, ma bisognerebbe parlare di potenza del Ki, piuttosto che di forza fisica.

Qualche tempo fa, mentre costruivamo un nuovo dojo, vedemmo sette o otto operai che provavano invano a sradicare un alberello. Mio padre li guardò per un po' e poi chiese loro di spostarsi in modo da poter provare lui stesso. Egli lo tirò su in un attimo, con una mano sola e lo scaraventò via. Sarebbe inconcepibile fare cose di questo genere con la mera forza fisica. Un' altra volta ci fu un incidente riguardo un certo Mihamahiro.

 

B: State parlando dello stesso Mihamahiro dell'Associazione Nazionale di Sumo?
O-SENSEI: Si. Quando io mi trovavo a Shingu, nella prefettura di Wakayama, Mihamahiro stava ottenendo ottimi risultati nella classifica dei sumotori. Aveva una forza incredibile, e riusciva a sollevare tre tronchi, dal peso di svariate tonnellate. Quando seppi che Mihamahiro si trovava in città, lo invitai a venirmi a trovare. Mentre stavamo chiacchierando, lui disse "Maestro, io ho sentito dire di lei che possiede una forza inimmaginabile. Perché non confrontare le nostre capacità?"  D'accordo" risposi" ma io userò solo il mio indice. " Iniziammo. Mihamahiro provò a sollevarmi e nonostante fosse in grado di spostare masse enormi, non riuscì a smuovermi di un millimetro. Dopo un po', ritorsi la sua stessa forza contro di lui, ed egli si trovò a volare per aria. Si rese conto che l'avevo toccato solo con l'indice, e con l'indice lo tenevo immobilizzato. Sembravamo un adulto che gioca con un bambino. Vedendolo incredulo, lo invitai a riprovare.Seduto per terra, gli offrii di cercare di rovesciarmi spingendomi per la testa, ma egli non ci riusciva. Sollevai allora le mie gambe dal suolo, restando in bilico, ma neanche così potè smuovermi. Sconvolto, cominciò a studiare l' Aikido.

A: Quando dice di atterrare una persona con un dito, lei preme un suo punto vitale?
O-SENSEI: Disegno un cerchio intorno a loro. La loro forza è contenuta all' interno di questo cerchio. Non importa quanto sia forte, un uomo non può estendere la sua forza altre questo cerchio. Diviene di colpo debole. Dunque è possibile atterrarlo con un dito mentre si trova in questa fase. È possibile perché LUI diventa debole.

A: Anche sua moglie proviene dalla prefettura di Wakayama?
O-SENSEI: Si, lei proviene dalla famiglia Takeda di Wakayama.

A: La famiglia Takeda è strettamente associata alle arti marziali.
O-SENSEI: Senza dubbio. La mia famiglia ha servito l' Imperatore per molte generazioni. l miei antenati, infatti, rinunciarono alle loro proprietà ed ai loro averi per dedicarsi completamente alla Famiglia Imperiale..

B: Siccome lei, maestro, è stato in giro per molti anni nel periodo in cui era giovane, quella di sua moglie non deve essere stata una vita molto semplice.
O-SENSEI: Per la verità, neanche ora riesco a trascorrere molto tempo a casa, per via dei continui impegni.
KISSHOMARU: Mio padre, da sempre, è particolarmente interessato alla pratica ascetica delle arti marziali. Inoltre, un' altra sua caratteristica, è il suo totale disinteressamento verso il denaro. In un'occasione si verificò un incidente di questo genere. Quando mio padre partì per Tokyo, nel 1926, si avviò da solo e poi nel 1927, lo raggiungemmo noialtri da Tanabe. Con l'aiuto del figlio del Generale Yamamoto, mr. Kiyoshi, prendemmo in affitto una casa a Sarumachi. In quell' epoca mio padre possedeva una larga fetta di terreno attorno a Tanabe, che comprendeva zone coltivabili ed incoltivabili. In ogni caso, ne ricavava ben poco e, dunque aveva bisogno di un prestito. Ma a dispetto di ciò, egli si rifiutava di vendere alcunché.ma non solo: quando i suoi allievi gli portarono l' offerta mensile, egli disse di non aver bisogno di questo genere di cose, che non avrebbe mai accettato dei soldi direttamente, e che preferiva che li donassero alle divinità, cosicché,il giorno in cui avrebbe avuto bisogno di soldi, avrebbe pregato gli dei, in modo da ricevere da loro il necessario. Non ha mai accettato del denaro per insegnare il Budo. Il dojo in quel periodo, era la sala da biliardo della famiglia Shimazu, e qui si riunivano per praticare anche molti ufficiali militari e persone aristocratiche. In quel periodo chiamavamo la nostra arte Ueshiba Juku Aikijitsu.

B: A che età è possibile iniziare a praticare?
KISSHOMARU: Si può iniziare verso i 7 anni, ma bisogna aspettare i 15 per praticare seriamente. Fisicamente parlando, il corpo comincia ad irrobustirsi e le ossa a fortificarsi proprio a quell' età. Siccome, inoltre, l'Aikido contiene molti aspetti spirituali, bisogna aspettare quell'età per acquisire una propria prospettiva del mondo e quindi della natura del Budo. Dunque, in ultima analisi, direi che 15- 16 anni sia una giusta età per iniziare la pratica.

B: Paragonato al Judo, ci sono ben poche occasioni in cui potersi afferrare, in Aikido quindi puoi confrontarti contemporaneamente con più di un avversario, il che è l'ideale nel Budo. Riguardo a ciò, ci sono molti teppisti che vengono per imparare l'Aikido?
KISSHOMARU: a eh, certo, a volte capitano anche individui del genere. Ma quando persone di questo tipo studiano l'Aikido con l'intenzione di usarlo come arma per battersi, non durano per molto tempo. Praticare arti marziali non è come ballare o guardare un film. Sole o pioggia, bisogna praticare comunque quotidianamente se si vuol progredire. In particolar modo l'Aikido che potrebbe essere definita una pratica spirituale che si serve delle forme del Budo. È troppo profondo per essere coltivato da coloro che vogliono utilizzarlo per fare a botte. In ogni caso, individui particolarmente inclini alla violenza, smettono di esserlo dopo aver imparato l'Aikido.

B: Capisco... attraverso un allenamento costante riescono a correggere i loro
atteggiamenti violenti.

O-SENSEI: L 'Aikido non è un' arte marziale di violenza ma piuttosto un'arte d'amore, in cui la violenza non trova posto. Anzi bisogna guidare gentilmente gli assalti violenti dei propri avversari. Non si può rimanere teppisti troppo a lungo..

B: L 'idea, dunque non è quella di opporre violenza alla violenza, bensì quella di trasformare la violenza in amore.
A: Cosa insegnate ad un principiante come fondamentali in Aikido? Nel Judo, per esempio, per prima cosa si impara a cadere...
KISSHOMARU: Prima di tutto l movimenti del corpo(tai sabaki), poi il flusso del ki.

A: Cosa s'intende per"flusso del ki"?
KISSHOMARU: In Aikido, noi proviamo costantemente a controllare l'energia del nostro partner, attraverso il controllo della nostra stessa energia, guidando il  compagno nel nostro proprio movimento. Dopo ci alleniamo a ruotare il nostro corpo. Non basta spostare il corpo, bisogna muovere le braccia e le gambe insieme, in modo che tutto il corpo sia unificato e possa muoversi armoniosamente.

B: Guardando praticare Aikido, gli allievi sembrano cadere naturalmente. Che genere di allenamento fate per le cadute?
KISSHOMARU: A differenza del Judo, dove ci si afferra col proprio partner, in Aikido si mantiene sempre una certa distanza. Di conseguenza, è possibile applicare un più libero stile di caduta. Invece di cadere con un tonfo, come in Judo, noi utilizziamo una caduta circolare, una forma di caduta molto più naturale. Dunque pratichiamo questi quattro fondamentali diligentemente.

B:Quindi voi praticate tai-sabaki, ki no nagare, tenkan, ed ukemi e poi cominciate lo studio delle tecniche. Che tipo di tecniche s'insegnano all' inizio?
KISSHOMARU: SHIHONAGE, una tecnica in cui si può lanciare un avversario in più direzioni. Replica i movimenti di base del ken. Ovviamente, pratichiamo anche spada. Come detto precedentemente, in Aikido, I'awersario diviene parte del nostro movimento. In questo modo riesco a spostarlo a piacere. Allo stesso modo, quando mi alleno con un bastone o una spada, faccio si che diventino parte di me stesso, come se fosse un braccio o una gamba. Per cui qualsiasi arma nelle mani di un aikidoka cessa di essere un semplice oggetto. Diventa un' estensione del suo stesso corpo. La successiva è IRIMINAGE. In questa tecnica si entra con tutto il corpo sull'avversario non appena prova a colpirci. In questo breve attimo è possibile sferrare anche 2 o 3 atemi. Per esempio, se il nostro avversario ci attacca dal lato con un pugno, sfruttando la sua energia, apriamo il nostro corpo in guidandolo in una rotazione che segue la direzione del suo attacco. Quindi solleviamo il nostro braccio disegnando un cerchio sopra la sua testa proiettandolo al suolo. Anche questo è il flusso del ki. Ci sono varie e complesse teorie circa questo punto. L' uke resta completamente senza forze o, piuttosto, tutta la sua forza viene diretta dove noi desideriamo proiettarlo. Dunque maggiore è la forza del nostro compagno e più è facile per noi. Ma d'altra parte, se nelle nostre tecniche ci si scontrasse con qualcuno opponendo la nostra energia alla sua, non sarebbe possibile sconfiggere un avversario più forte di noi.
O-SENSEI: Infatti in Aikido non si va mai contro l'energia del nostro attaccante. Quando egli ci attacca con un pugno o tagliando verticalmente come con una spada, disegna essenzialmente un punto o una linea. Tutto ciò che devi fare è scansarti da essi.
KISSHOMARU: Poi insegniamo le tecniche di immobilizzazione, shomenuchi IKKYO, NIKKYO e così via.

B: L 'Aikido contiene parecchi elementi spirituali. Quanto tempo occorre ad un principiante per acquisire una conoscenza delle basi?
KISSHOMARU:
Siccome ci sono persone più o meno coordinate, non posso fare una stima generale. Però dopo circa tre mesi di pratica assidua, un principiante comincia a farsi un' idea di cosa l' Aikido sia. Una volta raggiunti i sei mesi di pratica  difficilmente si lascia. Coloro che hanno solo un interesse superficiale si ritirano prima dei tre mesi.

B: Mi è parso di capire che il 28 di questo mese ci saranno gli esami per shodan. Quante cinture nere ci sono attualmente?
KISSHOMARU: Il grado più alto conferito al momento è l'ottavo dan, sono in quattro ad averlo raggiunto. Ci sono poi sei praticanti col settimo dan, e numerosi primi dan,considerando tutti coloro che hanno cominciato da dopo la guerra.

B:Quindi c'è un alto numero di persone che praticano l' Aikido in tutto il paese.
KISSHOMARU:
Il maestro Tohei ha visitato le Hawaii e gli stati uniti per promuovere l'Aikido. Nelle Hawaii ci sono circa 1200 praticanti, che equivalgono a circa 80000 praticanti a Tokyo. C'è anche un piccolo numero di cinture nere in Francia. C'è stato un francese che voleva provare il vero spirito dell' Aikido dopo aver studiato il Judo. Non essendo soddisfatto della pratica in Francia ha pensato di cercarlo nel luogo in cui l'Aikido è nato, ed è venuto in Giappone. Anche l'ambasciatore di Panama pratica l'Aikido, ma pare che il clima del Giappone sia troppo freddo per lui e così non pratica d'inverno. C'è pure una ragazza, Onada Haru, che si è allenata con noi per diversi anni.Poi è patita per l'ltalia per diventare un 'artista. Qualche giorno fa, ho ricevuto una sua lettera da Roma, in cui dice di essere molto felice perchè ha incontrato un italiano che pratica l'Aikido con cui può allenarsi.

A: Cosa possiamo dire circa l'interpretazione delle tecniche di Aikido?
O-SENSEI: l punti essenziali sono Masakatzu, Agatzu, e Katzuhayai. Come ho detto prima, "Masakatzu" significa "corretta vittoria" , "Agatzu" vuoi dire "essere in accordo con la tua missione sulla terra", "Katzuhayai" indica " lo stato mentale di assoluta vittoria"

B: Il Cammino dell' Aikido sembra molto lungo, non è vero?
O-SENSEI: Il Cammino dell' Aiki è infinito. Oggi io ho 76 anni, ma continuo ancora nella mia ricerca. Non è un semplice obbiettivo insegnare il Cammino nel Budo come in qualunque arte. In Aikido bisogna comprendere ogni fenomeno dell'universo. È un allenamento che dura tutta la vita.

B: Dunque nell'Aikido si imparano parallelamente gli insegnamenti marziali e quelli divini. Ma cos'è in sintesi lo spirito dell'Aikido?
O-SENSEI: L 'Aikido è amore (AI). Bisogna colmare il proprio cuore con il grande amore dell' universo e quindi abbracciare la propria missione di protezione ed amore verso tutte le cose. Accettare questa missione è il vero budo. Significa vincere al di sopra di se stessi ed eliminare l'idea del nemico dal nostro cuore. È una via di perfezione individuale in cui non c'è posto per la violenza. Le tecniche dell' Aiki sono un allenamento spirituale attraverso una via in cui si ricerca l'unione del corpo e della mente, in accordo coi principi dell' universo.

B: Quindi 'obiettivo dell'Aikido è la pace nel mondo .
O-SENSEI: L 'obiettivo finale dell' Aikido è la creazione di un Paradiso sulLa Terra, in modo che tutto il mondo possa essere in armonia. Allora non avremo bisogno di energia atomica e di bombe ad idrogeno. Potrebbe essere un mondo meraviglioso.

 
 
Lettera ufficiale di Hitohiro Saito Sensei

Comunicazione del Presidente dell'Iwama Shinshin Aiki Shuren Kai Italia Sett. 2004

 
Sono trascorsi 10 mesi da quando il gruppo di Iwama ha lasciato la Federazione Aikikai ed è divenuto un gruppo indipendente. E' un grande piacere per me far sapere a tutti i nostri associati che, nel frattempo, ho portato avanti le mie attività lentamente ma fermamente, con passo sicuro. Con questa lettera vorrei ringraziare dal profondo del cuore tutti voi che mi avete sostenuto costantemente offrendo la vostra sincera collaborazione.

Innanzitutto vorrei raccontarvi quanto è successo dopo la morte di mio padre, Morihiro Saito, avvenuta il 13 Maggio 2002. Insieme al presidente del comitato, addetto alla cerimonia funebre ufficiale di mio padre, mi sono recato nella sede centrale della Federazione Aikikai, dove si è tenuto un incontro con il Doshu e un'altra persona della “All Japan Aikido Federation”.

Riporto qui di seguito quanto c'è stato chiesto di fare durante quell'incontro:

1.  Riconsegnare il nome di “Capo dell'Ibaraki Dojo” all'Aikikai.

2.  Che la famiglia Saito cessi di usare il titolo di “Custode del Santuario dell'Aiki”

3.  Smettere di conferire certificati Iwama-ryu se rimaniamo all'interno della Federazione Aikikai.

Avevo già in mente di restituire l'Ibaraki Dojo in un prossimo futuro e perciò ho subito risposto che la prima e la seconda richiesta mi vedevano del tutto d'accordo. Rimanevo però un po' perplesso riguardo alla loro terza richiesta.

Come tutti sanno l'allenamento che attualmente pratichiamo ad Iwama è diverso dall'allenamento che si svolge in molti altri dojo di Aikido. Questo perché abbiamo preservato fedelmente l'insegnamento del Fondatore, cosa di cui mio padre è stato sempre molto orgoglioso. Questo tipo di allenamento si basa sul principio dell'unione tra Ken, Tai-jutsu e Jo e fu trasmesso solamente a mio padre. Mio padre dedicò tutta la sua vita a lavorare con il Fondatore, nei campi e nei boschi, aiutandolo nell'agricoltura e prendendosi cura delle piante. Servì il Fondatore con la massima fedeltà offrendogli letteralmente corpo ed anima. Era solito dire: “Insegno con sincerità le tecniche che mi furono insegnate dal Fondatore perché questo Ibaraki Dojo appartiene solamente al Fondatore”. Il gruppo Iwama-ryu, con il suo sistema di conferimento dei gradi, era stato creato per coloro che, affascinati dal modo di vivere di mio padre, sceglievano di seguire lui come maestro. Questi gradi sono stati consegnati soprattutto ai suoi allievi fuori del Giappone.

Per questo motivo, in merito al terzo punto, ho risposto al Doshu che era desiderio di mio padre preservare l'Iwama-ryu e gli ho chiesto di concedermi una cosa in cambio di una risposta positiva alla sua richiesta. Questa cosa era di annunciare nel loro bollettino ufficiale che l'Iwama-ryu praticava l'Aikido del Fondatore. Se l'Aikikai avesse potuto mostrare il suo riconoscimento ed accettazione nei nostri confronti, pensavo, allora i certificati Aikikai sarebbero diventati un tesoro splendente per tutti gli allievi dell'Iwama-ryu. Tuttavia questo annuncio non è mai avvenuto e nessuno della Federazione Aikikai è stato informato che, questo incontro tra l'Aikikai e noi, aveva avuto luogo.

Pensavo fosse meglio non disturbare la Federazione Aikikai o il Doshu con la questione dell'Iwama-ryu durante i tre anni di lutto per mio padre, perciò non era mia intenzione conferire certificati Iwama-ryu. Dopo meno di un anno, tuttavia, i miei allievi hanno iniziato a chiedermi, dopo aver ricevuto i certificati Aikikai, di dare loro anche i certificati Iwama-ryu.

Dopo la morte di mio padre, i suoi allievi più anziani si sono voluti rendere indipendenti e hanno fondato la loro organizzazione con il nome di “Takemusu Aiki”. Hanno iniziato anche a conferire i propri certificati ai loro allievi. In questa situazione, quando una divisione stava avvenendo all'interno del nostro gruppo, c'erano ancora molti allievi che sceglievano di seguire me nello stesso modo in cui avevano seguito mio padre. Essi sono il vero tesoro che mio padre mi ha lasciato. Per questo motivo, quando mi è stato chiesto di conferire certificati Iwama-ryu, non ho potuto rifiutare la loro richiesta.

Sono molto orgoglioso di mio padre. Riuscivo sempre a capire esattamente cosa stesse pensando in ogni momento. Oggi, mi chiedo ancora cosa farebbe se fosse ancora qui. Sono arrivato a capire che non posso continuare la missione di mio padre all'interno della Federazione Aikikai senza causare ulteriori contrasti con loro. Perciò ho deciso di lasciare l'Aikikai e ho fondato una mia associazione. I miei sentimenti di gratitudine per il Fondatore non sono cambiati e continuerò a seguire fedelmente lo spirito del Fondatore. Rispetto anche sia il Doshu precedente che l'attuale Doshu. La mia indipendenza non è il risultato di un conflitto tra l'Aikikai e noi. Sono convinto che il Doshu comprenda bene tutto questo.

Noi, la famiglia Saito, continueremo a vivere vicino all'Ibaraki dojo. Offriamo la nostra preghiera al Santuario dell'Aiki e auguriamo buona salute alla famiglia Ueshiba. Ci sentiamo grati verso quelle persone che ora si prendono cura dell'Ibaraki Shibu Dojo. Credo che sia la cosa più giusta il fatto che tante persone condividano il compito di prendersi cura dell'Aiki-Jinjya e del Dojo.

Continuerò ad elevare e migliorare me stesso maturando e sviluppando le tecniche dell'Aikido. Allo stesso tempo continuerò a seguire il Fondatore e a dedicarmi a preservare gli insegnamenti di mio padre. Desidero profondamente lavorare con voi e vorrei incontrare ed entrare in contatto con molte persone. E' mio desiderio sincero aiutare, quanta più gente possibile, a capire  “il principio delle autentiche tecniche di base” del Fondatore.

Con i migliori saluti,

Saito Hitohiro

 

Traduzione Giapponese-Inglese: Sonoko Tanaka

Traduzione Inglese-Italiano: Kerstin Gros, Sonoko Tanaka, Alessandro Tittarelli

 
 
Misogi, la purificazione
Prima del Misogi

La mente ed il corpo devono essere preparati prima del Misogi. La sera prima si raccomanda di non mangiare carne e di non bere alcolici. I sensi devono essere liberati e si deve evitare di assumere qualsiasi sostanza che possa annebbiarli o distorcerli. Tutti i nostri sensi dovranno essere pronti e recettivi.

Esercizio 1 - Furitama (scuotere l’anima)

1 - Tieni le gambe aperte quanto la larghezza delle spalle.

2 - Riunisci le mani tenendo la destra sopra la sinistra. Lascia, tra le mani, lo spazio equivalente di una immaginaria pallina da ping pong.

3 - Poni le mani, in quella posizione, davanti al tuo stomaco e scuotile vigorosamente in su e in giù.

4 - Mentre scuoti le mani, concentrati e ripeti le parole “Harae do no Okami”.

L’obiettivo dell’esercizio 1

L’obiettivo di scuotere l’anima è generare consapevolezza, dell’anima stessa, dentro di noi. Kon, l’anima, nello Shinto, è uno dei quattro elementi fondamentali, insieme a Mei, la vita, Rei, lo spirito e Ki, fonte universale di energia. Kon è l’elemento più importante dei quattro dal momento che l’essere umano può anche essere descritto come Waketama, anime individuali separate, che è un altro modo per dire “figli del Kami”.

 

Esercizio 2 - Torifune (esercizio del rematore)

1 - Stai dritto e poni la gamba sinistra in avanti.

2 - Chiudi i pugni tenendo i pollici all’interno.

3 - Sporgiti in avanti e muovi le braccia come se stessi remando iniziando dal ginocchio sinistro e finendo vicino alle ascelle. Mentre “remi” grida “Yie”.

4 - Esegui l’esercizio venti volte e poi ripeti Furitama.

5 - Cambia la postura alla gamba destra e ripeti Torifune gridando, alternativamente, “Ei” e “Ho”. Ripeti l’esercizio venti volte e poi ripeti Furitama.

6 - Ritorna con la gamba sinistra avanti, richiudi i pugni come prima e portali al petto gridando “Yie” e affondali in basso e in avanti, con le mani aperte e le dita estese, gridando “Se”. Dopo ripeti, di nuovo, Furitama.

Obiettivo dell’esercizio 2

Lo scopo fondamentale è introdurre una dimensione di ginnastica ritmica, sia fisica che spirituale. Dal momento che il Misogi è un’esperienza psicofisica entrambi i tipi di riscaldamento sono necessari.

 

Esercizio 3 - Otakebi (urlare)

1 - Stai in piedi dritto tenendo un pò di spazio tra i piedi.

2 - Metti le mani sulle anche.

3 - Segui il Michihiko (Maestro) mentre grida le tre seguenti invocazioni: Iku-tama! Taru-tama! Tama-tamaru-tama!

4 - Seguilo mentre ripete tre volte questa lunga invocazione: Okami! Okami! Kunitsu-Okami! Sarutahiko Okami To-toshi-ya!

L’obiettivo dell’esercizio 3

Gridare Iku-tama attiva l’anima che è appena arrivata alla consapevolezza. Taru-tama afferma la consapevolezza che puoi realizzare l’infinito nella tua anima. Tama-tamaru-tama conferma le invocazioni precedenti e tiene l’anima attivata al suo massimo. L’invocazione finale è diretta a Sarutahiko Okami, capo dei kami della terra e riconosce il suo grande potere.

 

Esercizio 4 - Okorobi (gridare)

1 - Adotta la postura utilizzata nell’esercizio 3

2 - Metti la mano sinistra sull’anca e la destra con due dita dritte.

3 - In questo esercizio si invocano tre kami e, durante ogni invocazione,

si taglia l’aria con la mano destra: Kunitoko-tachi-no-Mikoto! “Yie”

Sarutahiko-no-Okami! “Yie”

Kokuryu-no-Okami! “Yie”

Ogni volta che si taglia l’aria bisogna fare un passo in avanti con il piede sinistro e poi tornare indietro.

L’obiettivo dell’esercizio 4

Attraverso questo esercizio ci si può unire con questi tre kami, Kunitokotachi-no-Mikoto della guida e capo dei kami della terra) e Kokuryuon-no-Okami (kami dell’acqua, della vita e del Ki), rimuovere le proprie impurità e ricevere i loro poteri, come se fossero tuoi.

 

Esercizio 5 - Ibuki (respirare)

1 - Stai con i piedi separati

2 - Abbassa le mani e le braccia verso le ginocchia.

3 - Alza le braccia al di sopra della testa stendendole pienamente verso l’esterno

4 - Inspira mentre alzi le braccia.

5 - Espira lentamente e con piena coscienza mentre riabassi le mani.

6 - Poni le mani e le braccia vicino alle ginocchia ed espira completamente.

7 - Ripeti per cinque volte.

8 - Girati verso la cascata, inchinati due volte, batti una volta le mani e apri le braccia tenendo i palmi verso l’alto in direzione della cascata.

9 - Ora sei pronto ad andare sotto la cascata

L’obiettivo dell’esercizio 5

Lo scopo dell’esercizio è concludere la preparazione facendo dei profondi respiri che hanno l’effetto di innalzare il metabolismo del Ki ai suoi più alti livelli di sensibilità e di ricettività assorbendo il Ki dell’universo.

 

Esercizio 6 - Nyusui (entrare nell’acqua)

1 - Appena prima di entrare nell’acqua, riceverai dal Michihiko il Sakashio (sale purificatore) che ti sarà sparso addosso.

2 - Ti sarà dato un mestolo con del sake e del sale. Spruzzalo nel torrente in tre volte.

3 - Il Michihiko reciterà la preghiera di nove lettere in questo modo: Rin-Pyo-To-Sha-Kai-Zin-Retsu-Zai-Zen

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9

4 - il Michihiko poi taglia l’aria simbolicamente nove volte e grida “Yei!”

 

Il significato della preghiera.

Nello Shinto, i numeri dall’uno al nove sono usati per simbolizzare il mondo secolare e le sue impurità. Prima di entrare nell’acqua il taglio simbolico simboleggia il rimuovere le impurità dell’esistenza.

5 - Entra nell’acqua e spruzza il volto, il petto e i lombi.

6 - Batti due volte le mani e inchinati.

7 - Taglia l’aria da destra a sinistra con la mano destra come nell’esercizio 6.

8 - Avvicinati alla cascata e vai sotto l’acqua, cominciando dalla spalla destra.Girati verso il Michihiko tenendo le mani in avanti con i medi stesi.

9 - Grida - Harae-tamae-Kiyome-tamae-ro-kon-sho-jo! Continua finché il Michihiko non grida “Yei!”, che è il segnale per uscire dall’acqua.

 

Il significato della preghiera finale

Le espressioni Harae e Kiyome chiedono che l’individuo sia purificato lavando via tutti gli Tsumi dal ro-kon-sho-jo, dai sei elementi dell’essere umano che lo Shinto identifica: i cinque sensi e la mente.

 

Dopo il Misogi i partecipanti fanno, dopo essersi asciugati, un periodo di Chinkonto, pratica spirituale, per pacificare l’anima, a questo segue un Naorai, una bevuta cerimoniale con il Kami che ha l’effetto di rinforzare il contatto tra le persone e il Kami stesso.